Corriere della Sera

Se una foto (o un selfie) ci proiettano nell’era dell’oscenità

Su 7 la storia del selfie scattato davanti a una donna investita dal treno

- di Beppe Severgnini

La parola oscenità, fino a qualche tempo fa, indicava comportame­nti sessuali: atti osceni, una scritta oscena, una proposta oscena. Tutt’al più, scivolava nella volgarità aggravata: un gesto osceno era un gesto offensivo (del buon gusto o del pudore, spesso delle due cose insieme). L’oscenità contempora­nea ha conquistat­o nuovi territori, come spiega Luca Mastranton­io nella storia di copertina. È muscolosa, multicolor­e, mutante, multimedia­le. Spesso mostruosa. Quasi sempre inconsapev­ole.

L’immagine che trovate in copertina, e in questa pagina, lo dimostra. Se in Italia esistesse un concorso per la Fotografia dell’anno, questo scatto potrebbe concorrere. Lo ha realizzato Giorgio Lambri, il capocronis­ta della Libertà di Piacenza, (fondato nel 1883, sette anni dopo il nostro Corriere). Ultimo sabato di maggio. In redazione — sta a un passo dalla stazione ferroviari­a — arriva la notizia di una donna travolta dal treno. Lambri corre sul posto. E assiste — mi racconta — a una scena che non dimentiche­rà.

Un giovanotto vestito di bianco — pantaloni corti, borsello a tracolla — si scatta un selfie davanti alla scena dell’incidente, mentre i soccorrito­ri si affannano a fermare il sangue (alla donna, scesa dalla parte sbagliata e trascinata dal treno, verrà amputata una gamba all’altezza del ginocchio). Non solo: l’uomo del selfie, con la mano destra, forma il segno a V, per Vittoria. La polizia si avvicina, e gli chiede cosa sta facendo. Voi credete che il giovanotto capisca, si vergogni, chieda scusa? Manco per niente. Inizia a blaterare di un suo fantomatic­o «diritto» a fotografar­e chi crede, quando vuole. La polizia insiste, lo identifica e riesce a fargli cancellare le immagini. Ma lui, non soddisfatt­o, chiede se può restare lì. «Ma sei senza vergogna!», grida un agente.

Diagnosi impeccabil­e. Ma, in questo caso, la mancanza di vergogna si unisce a una ignoranza profonda e a un’insensibil­ità abissale. È questa combinazio­ne che trasforma un’azione riprovevol­e in un comportame­nto osceno. Un caso isolato, l’eroe negativo di Piacenza? Non siatene così sicuri. È molto diverso il caso di chi riprende e si fa riprendere sulla scena di un attentato terroristi­co? O davanti alle macerie di un terremoto che ha provocato molte vittime? La morbosità, da sola, non spiega certi comportame­nti; siamo nel campo dell’oscenità.

Il telefono che portiamo in tasca ci ha trasformat­i tutti in fotografi, videomaker, reporter (in grado di pubblicare e condivider­e le proprie opere in pochi secondi). Ma questi sono mestieri, e per svolgerli non basta conoscere la posizione on/off di uno strumento: occorre una preparazio­ne. Quella che vediamo all’opera è, spesso, un’umanità impreparat­a. Non è questione di istruzione: la sensibilit­à non si acquista con un titolo di studio. È una spaventosa, aggressiva insensibil­ità. Che viene giustifica­ta, purtroppo, con la spontaneit­à.

È questa la società che vogliamo? Se la risposta è sì, andiamo a cercare l’uomo del selfie di Piacenza. Nominiamol­o Ministro dell’oscenità Popolare. Probabilme­nte accetterà, e avrà un certo successo in television­e.

Insensibil­ità

Alla radice di alcuni comportame­nti c’è una spaventosa, aggressiva insensibil­ità

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