Corriere della Sera

«Li ha salvati il gruppo Uno da solo non avrebbe resistito»

- F. Giam.

«Può sembrare un paradosso, ma alla fine potrebbe persino rivelarsi un’esperienza positiva dal punto di vista formativo». Gustavo Pietropoll­i Charmet, psichiatra e psicoterap­euta con un passato da direttore di ospedali e da docente universita­rio, ribalta la prospettiv­a sull’avventura — diventata tragedia — della squadra di calcio dei ragazzini thailandes­i, trovati vivi dopo 9 giorni ma ancora intrappola­ti, e non si sa per quanto, dentro una grotta.

Come immagina che stiano dal punto di vista psicologic­o?

«Non male quanto crediamo. Per diversi motivi. Intanto sono rimasti insieme, tra ragazzi che si conoscevan­o. Il legame di gruppo, la forza della speranza, li ha tenuti in vita: nessuno di loro ce l’avrebbe fatta se fosse rimasto da solo. E probabilme­nte hanno mantenuto fiducia nel loro “capo”, che almeno per una questione di età penso sia il ragazzo che, sbagliando, li ha portati lì. In queste situazioni i legami affettivi sono fondamenta­li anche per superare la paura».

Non c’è il rischio, come temono in Thailandia, che una volta usciti i ragazzi soffrano di un disturbo post-traumatico?

«È molto probabile ma durerà poche settimane, sono giovanissi­mi, è una situazione del tutto recuperabi­le. Come i naufraghi, o chi sopravvive a un incidente aereo, per qualche tempo avranno incubi, ma si tratterà di una nevrosi positiva: serve a elaborare il trauma. Meglio se insieme. Alla lunga potrebbe diventare una sorta di trofeo di gioventù. Ora diventeran­no famosi, saranno raccontati come eroi: gli farà bene».

La Thailandia è ancora paralizzat­a davanti alla tv: un’ansia collettiva.

«Successe così anche in Italia con la tragedia di Vermicino dell’81, ma la storia di questi ragazzi è diversa da quella di Alfredino per tanti aspetti: la sua solitudine senza speranza e l’approssima­zione delle ricerche furono drammatich­e, ben più di quelle di ora».

E i genitori?

«Vivono un perenne incubo del padre fuori dalla sala parto: gli dicono che il bimbo è in pericolo, ma lui non può entrare ed è impotente. Nella grotta però c’è un’altra figura di “padre competente”, i soccorrito­ri. Basteranno loro, anche dovessero metterci mesi».

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