Non sanno nuotare L’ipotesi di trasportarli come «pacchi» adagiati su una barella
Rick e John riemergono dalla cava accolti come eroi, ma sanno che la loro missione è appena cominciata. Non è la prima fianco a fianco per Rick Stanton e John Volanthen, il pompiere di Coventry e l’ingegnere informatico di Bristol, i due cinquantenni britannici che «per hobby» s’immergono nelle grotte più buie e profonde al mondo: in Francia, Spagna, Messico, vanno giù per «il gusto di farlo» o perché chiamati da un governo a recuperare un corpo o a salvare delle vite, sempre da volontari.
Finita la corsa contro il tempo per trovare i ragazzini nella grotta di Tham Luang, è il momento di capire come tirarli fuori: comincia ora la partita a scacchi contro il cielo e la montagna thailandese per provare a batterli in astuzia e abilità.
Le difficoltà sono moltissime: la squadra di calcio si trova a circa 2,2 chilometri dall’ingresso della cava, che — ha confermato il ministro dell’interno Anupong Paojinda — è anche l’unica via d’uscita al momento. Per raggiungerla i ragazzi dovranno seguire al contrario lo stesso percorso dei sommozzatori, in gran parte sommerso, soprattutto in un lungo e stretto passaggio fangoso dove l’immersione è risultata complicatissima anche per i due esperti della Regina. In più, sono previste altre pesanti piogge e il drenaggio coi tubi difficilmente basterà a svuotare ogni «stanza» dall’acqua, per cui la cava tornerà percorribile a piedi solo una volta che si sarà asciugata. Quindi, temono i soccorritori, tra quattro mesi.
In questo quadro le possibilità allo studio sono soprattutto due, diversamente rischiose: intervenire subito o aspettare. Il piano A prevede che i ragazzini, molto deboli e nessuno dei quali capace nemmeno di nuotare, imparino i rudimenti delle immersioni e affrontino i fiumi di fango insieme ai soccorritori. «Difficile e molto pericoloso — ha spiegato il ministro thailandese —, se qualcosa va storto potrebbero rimetterci la vita». Ma per Stanton non sarebbe il primo tentativo: nel 2004 insegnò a sei soldati britannici a fare sub, per recuperarli uno alla volta da una cava di Cuetzalan, in Messico. Ci mise nove ore ma fu «il mio più grande successo», spiegò quando la Regina lo rese Cavaliere dell’impero britannico. «E forse c’è una variante — spiega al Corriere Bill Whitehead, vicepresidente del British Cave Rescue Council di cui i due sub fanno parte —, cioè trasportare i ragazzi come “pacchi”: li si attrezza da sub, con maschere che coprono tutta la faccia invece del solo respiratore per la bocca. Poi li si mette sdraiati su una sorta di barella, attaccati alla bombola, con pesi per regolarne la galleggiabilità». Potrebbero volerci un paio d’ore l’uno, se tutto va bene. «Ma dipende dalle condizioni: in quella cava — racconta Whitehead — i passaggi sono stretti, la visibilità è ridotta e il flusso dell’acqua è forte. Non è detto che si possa fare, e in più hanno poco tempo».
La decisione finale spetta ai militari thailandesi, che valutano un piano B: curare i ragazzi lì sotto e aspettare, potenzialmente fino a novembre. L’obiettivo primario, ora che i giovani hanno bevande nutrienti, antidolorifici e due medici a monitorarli, non è tirarli fuori il prima possibile, ma farlo in modo sicuro. E al momento non ce n’è uno.