«I rom e le ruspe del sindaco di Firenze»
Aseguito della morte di un giovane fiorentino investito da un’auto nel corso di una sparatoria tra bande rom, il sindaco Nardella aveva assicurato che giustizia sarebbe stata fatta. Così, dopo due settimane, ha realizzato lo sgombero del campo nomadi dove quei criminali erano alloggiati e lo ha fatto nel modo più clamoroso possibile: con una bella ruspa e pubblicando l’evento sul suo profilo Twitter. Un’azione rapida, decisa e che, sorprendentemente, non ha incontrato opposizioni, non tanto in consiglio comunale, bensì in quel tessuto associativo che giorni fa era sceso in piazza assieme proprio a Nardella per dire no alle politiche di Salvini. Non si tratta di assolvere né di accusare nessuno, bensì di prendere atto che il perimetro culturale di ciò che è razzismo (vale a dire l’applicazione di un pregiudizio astratto su persone diverse per biografia l’una dall’altra) si è molto ristretto, lasciando fuori alcuni comportamenti che prima vi erano ricompresi. Perché delle due l’una. O in questi anni le amministrazioni comunali avevano tollerato una palese illiceità collettiva e dunque non trattasi di razzismo, ma di legalità; oppure placare l’opinione pubblica, anzi blandirne il consenso con la legge del «paghino tutti per le colpe di uno solo» è divenuto lecito in campo politico, il che renderebbe ancor più pericolosa la presenza della Lega al governo del Paese.