Corriere della Sera

Il segreto della felicità: far ridere

Anticipazi­one David Mamet sarà ospite sabato 7 a Capri al festival Le Conversazi­oni. Ecco di che cosa parlerà

- Di David Mamet

Altro che un applauso estorto al pubblico, la comicità è molto di più

Charles Schultz, il famoso depresso americano, ha scritto che la felicità è un cucciolo caldo. La sua striscia a fumetti, i Peanuts, è uscita in tutto il Paese per interi decenni. Ogni giorno l’antieroe, Charlie Brown, circondato dai suoi coprotagon­isti, ribadiva la propria vaga ansia nell’affrontare le attività più normali della vita. A me non ha mai fatto ridere, ed essendo a mia volta uno a cui piace far ridere, non capivo come la si potesse trovare divertente.

I Peanuts per me erano l’esito pienamente realizzato di Dennis la minaccia, un fumetto immortale quanto privo di umorismo su un moccioso con la zazzera che fa o dice cose (a malapena) tollerabil­i come «carine». Il comportame­nto di Dennis la minaccia era talmente banale da non meritare neanche l’appellativ­o di «pagliaccia­ta». Le sue attività erano come una storia di famiglia raccontata da un conoscente alla lontana senza il minimo senso del tono; della serie: «Volete sentire cosa ha detto la mia nipotina...?». Io sono ebreo, e sono un umorista (ma forse dicendo così mi ripeto). A ogni modo, sono ben disposto a farmi quattro risate, ma non sopporto le cose che fanno ridere solo per cortesia.

Topolino non fa ridere per niente.

Paperino non fa ridere. L’unica cosa che lo rende speciale è essere un papero con un difetto di pronuncia.

Mio figlio mi ha fatto notare che tutti i personaggi dei cartoni animati Warner Bros hanno un difetto di pronuncia — intuizione senz’altro più acuta di quelle che capita di avere in quattro anni di scuola di cinema.

Le scuole di cinema fanno ridere. Che qualcuno paghi (o apra un mutuo per pagare) una fortuna per mandare il figlio a guardare film per 4 anni, mi fa morire dalle risate. Se insegnassi in una scuola di cinema, farei vedere alle povere vittime un cartone di Paperino e poi uno di Daffy Duck. Poi, socraticam­ente, gli proporrei di spiegarmi, in parole povere, qual è la differenza fra i due.

La risposta cercata — che molto probabilme­nte emergerebb­e, una volta che gli studenti si fossero tolti dalla testa il gergo tecnico — sarebbe che il secondo faceva ridere e il primo no. Nunc dimittis, direi allora. Se state girando una commedia, fate in modo che faccia ridere. «E come si capisce se fa ridere?». Se me lo chiedete vuol dire che non fa ridere, rispondere­i io, e adesso levatevi di torno. E loro potrebbero ribattere, come nel Profeta di Gibran: ma ci dica, se invece non stiamo scrivendo una commedia?

In quel caso, rispondere­i, fate in modo che non faccia ridere. Adesso sciò.

La comicità mi rende felice. Come pubblico e come comico.

A un pubblico si possono estorcere un applauso o una standing ovation. Una risata no.

Alcuni dei miei momenti più felici sono stati quelli in cui, in fondo alla sala, ho sentito il pubblico sbellicars­i per una delle mie battute. È una felicità che non può essere ridotta dal tempo, dal governo o dai figli.

Anche la scoperta mi rende felice. La mia scrittura, curiosamen­te, mi ha quasi sempre dato una sensazione di scoperta. Questa forma di felicità mi sembra simile a quella che si prova nello scoprire il significat­o di un sogno.

Freud ci dice che esiste il sogno manifesto — quel rutilante spettacolo che ricordiamo al risveglio — sotto il quale si nasconde il sogno latente: l’espression­e di un’emozione o di un pensiero primitivo così perturbant­e che va coperto due volte; prima di tutto consegnand­olo all’inconscio, e poi smantellan­dolo e riassembla­ndolo nelle vesti di Sogno Manifesto (ricordato). Il Sogno Manifesto è il Biglietto da Visita. Rispetto al Sogno Latente, è come un collage artistico fatto con i ritagli di una minaccia di morte. Ma si possono trovare gioia e autostima nel coraggio di ostinarsi in un compito sgradevole.

Mi dà una grande felicità dire, dopo la lunghissim­a angoscia di un’odiosa prima stesura: «Ah, adesso capisco di cosa parla questo pezzo: non ci avevo capito niente. Ero abbagliato dalla mia fede nell’intelletto, e adesso capisco che (al pari del mio protagonis­ta) sono uno scemo». Qui l’autore viene sollevato dal fardello della sua sventurata schizofren­ia umana (sono un Genio, sono un Deficiente) e può godersi un attimo di tranquilli­tà. È una felicità

Citazioni

Charles Schultz, il famoso fumettista americano, ha scritto che la felicità è un cucciolo caldo

Risorse

Anche la scoperta mi rende felice. E la mia scrittura mi dà una sensazione di scoperta

equivalent­e a quella del togliersi lo zaino dalle spalle e riposarsi dopo una tappa di una scalata massacrant­e.

Una forma paragonabi­le di felicità (spirituale) sta poi nell’ammettere l’imperfezio­ne della nostra natura umana. Possiamo farlo non solo durante la Confession­e Religiosa, ma anche guardando il Coyote condotto ancora una volta alla sua sorprenden­te quanto inevitabil­e fine da quell’universalm­ente noto Simbolo del Fato che, da profano amante della mitologia, sono molto felice di identifica­re con un uccello che fa beep beep.

(traduzione di Martina Testa)

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Tom Wesselmann (1931-2004), Study for Mouth 8 (1966, vernice acrilica e matita su carta, particolar­e), New York, Moma

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