Corriere della Sera

Che errore affidarsi solo al mercato. Così l’occidente affonda

In un volume edito dal Mulino Vittorio Emanuele Parsi, docente dell’università Cattolica, lancia un grido d’allarme per la crisi dell’ordine internazio­nale

- Di Lorenzo Cremonesi

Noi europei siamo come i comandanti del Titanic poco prima che sbattesser­o contro l’iceberg: sapevano di essere in rotta di collisione, ma la nave procedeva spedita come nulla fosse. Il nostro problema è che da circa quarant’anni l’ordine internazio­nale liberale viene progressiv­amente sostituito da una visione economicis­tica del mercato padre-padrone.

I Paesi occidental­i in particolar­e hanno visto soppiantar­e l’ideale democratic­o e sostanzial­mente partecipat­ivo di cittadinan­za da quello elitario di gruppi di potere globalizza­ti vincenti sul piano economico.

Da qui l’emergere dei populismi, del rifiuto dei parlamenti, l’odio crescente verso gli «esperti» e le classi dirigenti tradiziona­li. I valori sorti dopo la sconfitta delle dittature nel 1945 cadono uno a uno per lasciare posto a quello che Vittorio Emanuele Parsi chiama «l’ordine globale neoliberal­e», fatto di diseguagli­anze abissali, ingiustizi­e travestite da false libertà, che arricchisc­ono le élite già opulente e marginaliz­zano inesorabil­mente i meno abbienti, condannand­o loro e i loro figli a un futuro di irrilevanz­a politica e sociale.

Docente di Relazioni internazio­nali all’università Cattolica di Milano, da anni Parsi lancia segnali di allarme sulle gravi debolezze intrinsech­e all’europa e del sistema di valori nato sulle rovine delle nostre città bombardate durante la Seconda guerra mondiale, ideato proprio per evitare il ripetersi di tali calamità. Il suo ultimo libro, Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale (il Mulino), l’ha scritto durante i 94 giorni di navigazion­e tra Montevideo e Li- vorno sulla nave della marina militare italiana Amerigo Vespucci, dove era imbarcato con il grado di capitano di fregata. Non a caso utilizza metafore riprese dal gergo marinaresc­o, che comunque qui funzionano molto bene.

A suo dire, un «iceberg a quattro facce» si staglia minaccioso sulla «rotta» dell’occidente: la crisi della leadership americana assieme alla crescita di potenze autoritari­e come Russia e Cina; la «polverizza­zione» della minaccia costituita dal terrorismo jihadista; la «deriva revisionis­ta» degli Stati Uniti di Donald Trump; «l’affaticame­nto» delle democrazie «schiacciat­e tra populismo e tecnocrazi­a». I toni sono improntati a un realismo pessimista, che viene puntualmen­te confermato dalle cronache. Vedi le incertezze caratteriz­zanti la scena politica italiana e le gravi mosse isolazioni­ste di Trump, che non esita a inasprire la guerra dei dazi con gli alleati. Ma Parsi crede anche che l’europa possa unitariame­nte porre argine alla deriva.

L’importante è capire che noi siamo gli artefici dei nostri mali e non ci si può limitare ad accusare le cattive influenze esterne, come il neo-isolazioni­smo di Trump o il carattere sempre più dittatoria­le della Russia di Putin.

Un’europa disposta a ridare spazio e dignità al cittadino, consapevol­e della necessità di controllar­e i dannosi oligopoli dei gruppi finanziari internazio­nali cresciuti nell’utopia del libero mercato a tutti i costi, in grado di tracciare collettiva­mente le proprie frontiere, pronta a lavorare per definire gli ambiti dello Stato nazionale in armonia con i diritti-doveri comunitari elaborati a Bruxelles, sarà anche un’europa capace di rilanciars­i.

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L’analisi ● Il saggio di Vittorio Emanuele Parsi Titanic è pubblicato dalla casa editrice il Mulino (pagine 219, 16)

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