Corriere della Sera

Uno strappo e troppe amnesie

- di Luigi Ferrarella

«Èuna sentenza politica, siamo l’unico partito europeo che si vuole mettere fuori legge per sentenza giudiziari­a»: peggiorare le parole del ministro Salvini sulla Cassazione era già arduo, ma c’è riuscita la Lega immaginand­o ieri l’inimmagina­bile, e cioè di poter salire al Quirinale e usare il capo dello Stato quasi come irrituale grado d’appello contro una sentenza sgradita.

La reazione di Matteo Salvini all’ammissibil­ità in Cassazione del sequestro dei 49 milioni di finanziame­nto pubblico alla Lega Nord, provento della truffa allo Stato costata in primo grado la condanna a Bossi e all’ex tesoriere Belsito, pareva già un record di analfabeti­smo istituzion­ale: lo strappo non «solo» di un segretario di partito, ma addirittur­a di un ministro dell’interno che — alla faccia del «governo del cambiament­o», e facendo impallidir­e persino il Berlusconi d’annata — proclama che i giudici della Corte suprema italiana non sono imparziali ma, mossi da pregiudizi­o personale, abusano della propria funzione per perseguire finalità politiche tecnicamen­te eversive quali quella (attribuita loro da Salvini) di «mettere fuori legge per sentenza» un partito votato da milioni di cittadini. Solo la narcosi imperante può far sorvolare sul fatto che Salvini minacci «querele a chi mi tira in ballo», ma non si faccia scrupoli ad attribuire ai giudici della Cassazione la commission­e di un reato; o che scarichi su «chi c’era prima di me 10 anni fa» nella Lega, ma intanto a Milano non sporga contro «chi c’era 10 anni fa» la querela indispensa­bile a non fare estinguere in Appello un’altra condanna di Bossi e Belsito per aver usato soldi del partito a fini privati. Ma è forse più impellente domandare al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, dirigente di quel Movimento 5 Stelle che da sempre dichiara di fondarsi sulla «legalità», se iscriva le parole di Salvini in quei «principi di autonomia, imparziali­tà e terzietà della magistratu­ra» che il Guardasigi­lli pochi giorni fa prometteva al Csm di voler consolidar­e. E poiché tace pure la presidenza del Consiglio, titolare dell’interesse dei cittadini a contare su giudici imparziali (e perciò parte civile nei processi a toghe imputate d’aver svenduto la propria funzione), anche Giuseppe Conte alimenta un dubbio: sui giudici italiani il premier “avvocato degli italiani” la pensa come il suo ministro dell’interno?

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