L’esproprio ottuagenario
Gli anziani che occupano un centro sociale e si danno il cambio la notte dentro i sacchi a pelo sarebbero uno spunto straordinario per un film: l’incrocio tra gli squatter del Leoncavallo e gli arzilli vecchietti di Cocoon. Intanto succede davvero: sulla via Cassia, spina dorsale di Roma Nord, dove da vent’anni campeggia un tendone in cui i diversamente giovani della zona si ritrovano per giocare a bocce e fluttuare nelle mazurke. Doveva essere un approdo momentaneo, in attesa che venisse ultimato il centro anziani da 200 mila euro in eterna costruzione nei paraggi, ma in Italia nulla è definitivo come il provvisorio. Finché un giorno i temibili pensionati hanno trovato il cancello sbarrato da un lucchetto. Il municipio aveva dichiarato inagibile la struttura, senza perdersi in troppe spiegazioni.
I ragazzi ci sono rimasti male. Negli anni quel luogo era diventato più che un ritrovo: un’assicurazione contro la solitudine. Non potendo fare una petizione su Facebook — molti di loro non sanno cos’è — si sono riuniti in assemblea come una «comune» d’altri tempi per deliberare l’esproprio ottuagenario. Armati di cesoia, hanno tagliato le catene del loro scontento e si sono reimpossessati del campo di bocce e della pista da ballo. Negli occhi avevano una luce strana. Che ne sarà di loro? Verranno sfollati con gli idranti a colpi di reumatismi? In questa società di rughe, ormai agli anziani tocca proprio fare di tutto. Persino la rivoluzione.