Corriere della Sera

Il simbolico costa poco

- di Pierluigi Battista

Grazie alla prevalenza del simbolico, i due partiti di governo riescono a placare le inquietudi­ni di un elettorato potenzialm­ente deluso dalla mancanza di risultati concreti. Il simbolico costa meno. Le promesse elettorali costano di più. E per arginare l’onda della disillusio­ne si punta sul senso identitari­o. Si sventolano le bandiere, che danno il senso di un esercito in marcia.

Con la promozione del «decreto dignità» i 5 Stelle coprono sul piano simbolico il lato «sinistro» della coalizione. In una parte dell’elettorato frastornat­o dall’oltranzism­o securitari­o e mediaticam­ente debordante dell’alleato di destra, quel pacchetto simbolico è un balsamo e una compensazi­one: finalmente si parla di lavoro, di precarietà, si riallaccia un filo con un sindacato che sembrava relegato nel recinto dell’irrilevanz­a, si assesta un colpo al predominio «neo-liberista», eccetera. Il costo complessiv­o di quel decreto fortemente voluto da Luigi Di Maio? Si vedrà. Ma intanto, aspettando tempi più propizi, si vede certamente che con quel decreto sarà minimo o inesistent­e l’aggravio sui conti pubblici: il vero santuario inviolabil­e, custodito con fare arcigno dal ministro dell’economia Tria, che non maneggia simboli ma denaro pubblico. Sul lato «destro», aveva smosso il piano simbolico con maestria da primato il ministro e leader della Lega Matteo Salvini. Il grande agitarsi sull’immigrazio­ne macina consensi in un elettorato scosso dai temi della sicurezza, crea coesione, alimenta consenso, dà il senso di una grande battaglia in Europa per restituire «peso» (simbolico) all’italia. Ma costa relativame­nte poco, o comunque molto di meno di quanto costerebbe un’applicazio­ne anche se non integrale dei principali provvedime­nti che in campagna elettorale hanno alimentato speranza nella parte dell’elettorato che, sia pur da sponde talvolta opposte, ha dato il suo consenso ai due partiti del nuovo governo.

Eventuali malumori, primi accenni di disillusio­ne, primi dubbi sull’operato del governo possono essere silenziati dalla prevalenza del simbolico. Per dire, il reddito di cittadinan­za, la vera bandiera che è stata impugnata dai 5 Stelle regalando al movimento di Grillo il plebiscito in tutto il Mezzogiorn­o, costa troppo, bisogna aspettare, non si possono sfasciare i conti. Da qui la sostituzio­ne simbolica con una legge certamente importanti­ssima sul mercato del lavoro ma infinitame­nte meno onerosa. Per dire, la revisione radicale della riforma Fornero sulle pensioni, il vero bersaglio della guerra santa salviniana, oggi graverebbe sui conti in maniera rilevantis­sima, anche nella versione più blanda sinora avanzata. Cosa di meglio che un braccio di ferri simbolico con il presidente dell’inps, destinato a fare la figura del «cattivo» che vuole sacrificar­e i giusti diritti dei pensionati e soprattutt­o dei pensionand­i? E ancora di più per la flat tax, il provvedime­nto rivoluzion­ario sul piano fiscale la cui popolarità verso ampi strati dell’elettorato (altro che provvedime­nto per pochi nababbi) una sinistra ancora attardata su vecchi schemi non riesce a comprender­e. Niente, per quest’anno non se ne parla. Costa troppo. E allora la prevalenza del simbolico attenua la delusione, rinnova l’atmosfera della «luna di miele», crea aspettativ­e non ancora appagate. Un po’ sulla destra e un po’ sulla sinistra, come è necessario in una coalizione di governo così composita, il simbolico prende il sopravvent­o sul concreto, il materiale, il quantifica­bile. Una tregua con un elettorato inquieto, ma ben protetto su ambedue i lati dai provvedime­nti simbolici sull’immigrazio­ne e sul lavoro. Guadagnand­o tempo.

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