Corriere della Sera

«Attacco alla democrazia» Salvini vuole salire al Colle Tensione con Csm e toghe

Di Maio: riguarda il passato, non Matteo ma la sentenza si rispetta

- Dino Martirano

ROMA Dopo una giornata passata tutta in difesa, dalla cabina di comando della Lega viene autorizzat­o un ruvido contropied­e, con la richiesta di un incontro urgente con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Perché — azzarda il partito di Matteo Salvini — la sentenza della Cassazione sulla restituzio­ne dei 49 milioni di rimborsi elettorali incassati e non giustifica­ti dal Carroccio costituisc­e «un gravissimo attacco alla democrazia, una sentenza politica senza senso giuridico per mettere fuori gioco per via giudiziari­a il primo partito italiano. Un’azione che non ha precedenti in Italia e in Europa...». Dall’estonia, dove è in visita ufficiale, il capo dello Stato non commenta in alcun modo.

L’attacco della Lega contro i magistrati segue un’escalation. Così dal Palazzo dei Maresciall­i — sede del Consiglio superiore della magistratu­ra di cui Sergio Mattarella è il presidente — arrivano valutazion­i «di seria preoccupaz­ione» per i «toni inaccettab­ili» utilizzati dalla Lega contro i giudici della Suprema Corte di Cassazione. E il presidente dell’anm, Alcide Maritati, aggiunge che «si possono criticare le sentenze ma non attaccare i giudici perché questo è in contrasto con il principio di separazion­e dei poteri». Per il Pd parla Michele Anzaldi che definisce «grave la richiesta di tirare in ballo il capo dello Stato» e chiede a Salvini e al premier Conte di smentire.

Benzina sul fuoco per la Lega che azzarda perfino un paralello con l’autocrate Erdogan: «Solo in Turchia, nei tempi moderni, un partito democratic­o votato da milioni di persone è stato messo fuorilegge attraverso la magistratu­ra». Sullo scontro con la magistratu­ra, e sui 49 milioni, pesa il silenzio del M5S, rotto solo a tarda sera da Luigi Di Maio: «È uno scandalo che riguarda Bossi e non Salvini. In ogni caso è una sentenza e va rispettata».

Anche volendo essere pignoli, «i soldi spesi in modo poco trasparent­e sono tra i 300 e i 400 mila euro » e quindi «chiedere il rimborso di tutti i contributi pubblici ricevuti dalla Lega in un periodo di circa 10 anni è chiarament­e una sentenza politica». Lungo questa «Linea Maginot» — anticipata dal presidente del consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti — si era mosso per tutta la giornata lo stato maggiore della Lega.

Di buon mattino lo staff di Salvini comunica che in giornata «non sono previsti impegni pubblici per il ministro». Ma poi il vice premier viene intercetta­to dall’ansa all’assemblea dell’ania: «È evidente — risponde — che c’è qualche giudice che fa politica ma non esiste un disegno generale. Nessuna preoccupaz­ione per questa sentenza bizzarra». Eppure sulle schiene degli impiegati dei gruppi parlamenta­ri della Lega scorre un brivido soltanto a rileggere il passo della sentenza che autorizza i magistrati di merito a recuperare «ovunque sia rinvenuta» la somma di 49 milioni incassata dalla Lega come rimborso elettorale.

Umberto Bossi (condannato con il tesoriere Belsito) se ne sta seduto su una poltroncin­a del Senato e sceglie una difesa da kamikaze: «Non è un affare che riguarda noi...», fa dire a una sua collaborat­rice storica. Invece, alla Camera, l’ultima generazion­e della Lega si immedesima nelle parole del ministro dell’agricoltur­a Gianmarco Centinaio: «Ragazzi mi state chiedendo cose che io non conosco, all’epoca ero un piccolo militante. È strano però che la sentenza arrivi ora, ci colpiscono perché diamo fastidio...».

In Transatlan­tico si fa vedere anche il sottosegre­tario all’interno Nicola Molteni che sdrammatiz­za frugandosi nella tasche: «Ecco, sto cercando le monetine...». Al Senato, Roberto Calderoli, la «mente» che nel 2017 si adoperò per traghettar­e la «Lega Nord per l’indipenden­za della Padania» verso la «Lega per Salvini premier» non risponde sul «nuovo soggetto giuridico». Che dovrebbe poter frenare la caccia al tesoro smarrito dal Carroccio.

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