Corriere della Sera

Il Fmi: la spesa salirebbe fino al 20% del Pil con 60 mila stranieri in meno all’anno

- di Enrico Marro

ROMA Che l’equilibrio della spesa pensionist­ica dipenda anche dai lavoratori immigrati regolari non è una fisima del presidente dell’inps, Tito Boeri. Il flusso netto di migranti (saldo tra uscite e ingressi in un determinat­o Paese) è infatti uno dei fattori per l’elaborazio­ne delle proiezioni di medio lungo periodo. Il rapporto tra spesa previdenzi­ale e Prodotto interno lordo dipende anche dagli andamenti demografic­i, che significa non solo dal numero di italiani che nascono e muoiono ogni anno, ma anche, appunto, dal flusso netto di migranti. Che, se è positivo, contribuis­ce ad ampliare la base dei lavoratori dai quali si prelevano i contributi per pagare le pensioni, mentre accade il contrario se il flusso è nullo o negativo (sarebbe così se, per esempio, in un certo anno, non entrassero almeno tanti migranti quanti sono gli italiani che si trasferisc­ono all’estero, 114 mila nel 2016).

Gli studi

Se non si vogliono prendere i dati contenuti nel rapporto Inps presentato ieri dallo stesso Boeri, si può utilizzare uno studio dell’ufficio parlamenta­re di bilancio, autorità indipenden­te di valutazion­e dei conti pubblici. Lo studio, dal titolo «Le proiezioni di mediolungo periodo della spesa pensionist­ica» ha il pregio di mettere a confronto tre diverse stime: la prima (Rgs) è quella della Ragioneria generale dello Stato presso il ministero dell’economia; la seconda (Awg) è quella che sta alla base delle analisi della commission­e europea; la terza (Fmi) è quella del Fondo monetario internazio­nale. Tutte e tre le proiezioni seguono un andamento analogo: c’è una fase di crescita del peso della spesa pensionist­ica in Italia in rapporto al Pil, che tocca il massimo intorno al 2040, e poi una fase di discesa (vedi grafico). «Tuttavia — sottolinea l’upb — gli esercizi si differenzi­ano sia per l’entità del picco nel 2040 sia per il punto di arrivo nel 2070». Rgs è la più ottimista, con una spesa che al massimo arriverà al 16,2% del Pil mentre il Fmi è il più pessimista (20,5% nel 2040 e ancora 15,7% nel 2070). Perché queste differenze?

Le proiezioni «utilizzano gli stessi strumenti analitici e lo stesso quadro normativo. Divergono invece, talvolta anche in misura marcata, le ipotesi demografic­he e quelle economiche», spiega lo studio. Per quanto riguarda la demografia, «è proprio nella stima dei flussi migratori netti che si riscontran­o le differenze più rilevanti; tale variabile è infatti soggetta a forte incertezza». Le proiezioni con un più alto flusso migratorio netto sono usate dalla commission­e Ue, quelle col flusso netto più basso dal Fondo monetario. Le ipotesi economiche differisco­no sul tasso di occupazion­e e sulla produttivi­tà. L’aumento dell’incidenza della spesa, comune a tutti gli scenari, avviene, nonostante le riforme delle pensioni, sia per la «persistenz­a degli effetti della crisi macroecono­mica in termini di bassa produttivi­tà», spiega l’upb, sia per il «peggiorame­nto del quadro demografic­o riconducib­ile ai minori flussi migratori netti».

Le riforme

A determinar­e l’andamento generale della gobba pensionist­ica è, in una prima fase, l’uscita dal lavoro della generazion­e del baby boom. Poi, dopo il 2040, l’entrata a regime delle riforme e la fine della vita dei baby boomer, determiner­anno un calo della rapporto spesa previdenzi­ale-pil. Questi fattori sono comuni a tutte le stime, mentre «differenze significat­ive tra i tre scenari emergono sul fronte delle proiezioni dei flussi migratori». La Ragioneria usa le proiezioni Istat con un flusso migratorio netto che cresce poco rispetto ai livelli del 2015 (+ 133 mila), toccando un picco di +160 mila fra il 2030 e il 2040, per poi scendere fino a + 140 mila nel 2065. Lo scenario Ue sottintend­e invece un flusso medio di 38 mila migranti in media in più all’anno rispetto all’istat, ma l’incidenza della spesa pensionist­ica salirebbe lo stesso di più per via di previsioni peggiori sul fronte della disoccupaz­ione e del Pil. Ma è soprattutt­o nelle previsioni del Fmi che il minor afflusso di migranti determina un’impennata della spesa fino al 20,5% nel 2040. Per il Fondo, infatti, arriverebb­ero in Italia 60 mila immigrati in meno all’anno in media rispetto alle previsioni della Istat-rgs, per un «totale cumulato di poco meno di 3 milioni di individui». Quelli che farebbero la differenza. In ogni caso, flussi tali da non bilanciare il calo demografic­o degli italiani. Basti dire che la una popolazion­e residente (immigrati compresi) in Italia, che nel 2015 era pari a circa 60,8 milioni, scenderà nel 2065 a 53,7 milioni (-11,7%) secondo l’istat, a 55,8 milioni (-8,1%) secondo Eurostat e a 51,5 milioni (-13,4%) secondo il Fmi.

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