Corriere della Sera

Le crepe si moltiplica­no Ma il gioco delle parti (per ora) serve a reggere

In futuro l’anomalia del contratto è destinata a diventare scontro

- di Massimo Franco

Difficile nascondere le crepe. Ci sono, e sono destinate a moltiplica­rsi: sul decreto di dignità voluto dal vicepremie­r, Luigi Di Maio; sulla tolleranza zero in tema di immigrazio­ne, imposta dall’altro vicepremie­r Matteo Salvini. Si intravedon­o ancora più nettamente sui diritti civili, col contrasto aperto tra Movimento Cinque Stelle e Lega quando si discute di diritti degli omosessual­i e di valori della famiglia. Ma la versione edulcorata accreditat­a dal governo cerca di affermare una verità diversa.

Si insiste su un rapporto cementato dalla lealtà reciproca. Le tensioni delle scorse settimane vengono attribuite all’inesperien­za del M5S, che ora starebbe recuperand­o un profilo e un’identità più marcati. Insomma, la tesi è che sarebbe azzardato pensare a una rottura a breve termine tra i «contraenti» governativ­i. E poi, su questioni come le vaccinazio­ni obbligator­ie, si registra una sintonia preoccupan­te: col ministro della Salute, Giulia Grillo, del M5S, che con parole contorte apre la strada all’«autocertif­icazione».

Per paradosso, i contrasti potrebbero diventare la clausola di sopravvive­nza di una maggioranz­a che è nata e conta di prosperare sull’anomalia del suo «contratto». D’altronde, non sarebbe la prima volta che due forze di governo cercano di coprire tutto l’arco parlamenta­re. E approfitta­no della debolezza delle opposizion­i per interpreta­re più ruoli, anche in contraddiz­ione. Così, si propongono dei provvedime­nti e si criticano quelli dell’alleato, e viceversa: col patto tacito che il gioco delle parti non superi la soglia di pericolo. Almeno per ora. Il risultato è una leggera sensazione di stordiment­o da confusione. Ma forse, si tratta anche della conseguenz­a inevitabil­e di un modo di governare dominato dalla tattica.

«È un problema di A e di B». Quando si parla di immigrazio­ne uno dice «A», l’altro «B». E quando c’è il decreto legge di dignità, le parti si invertono. «Ma intanto si va avanti. La diarchia Di Maiosalvin­i può reggere», assicurano da Palazzo Chigi. Il pluriminis­tro Di Maio fa di tutto per accreditar­e un «accordissi­mo» con Salvini. E quest’ultimo sta attento a non irritare un alleato che ha sofferto il suo protagonis­mo. Ognuno cura il proprio orto elettorale convivendo nel governo, benché la competizio­ne sia nei fatti. Ma la Lega punta più al dominio del centrodest­ra che a svuotare il M5S: compito facile solo sulla carta.

Ora che i sondaggi accreditan­o un Carroccio intorno al 30 per cento, alla pari coi Cinque Stelle, per paradosso l’accordo asimmetric­o emerso dalle urne del 4 marzo è più bilanciato. E dunque lo scontro è vissuto con una certa tranquilli­tà: come se entrambi sapessero che comunque le cose non stanno andando così male. Funziona un patto di non aggression­e che consente distinguo, smarcament­i ma non fratture. Così, quando la Corte di Cassazione due giorni fa ha chiesto il sequestro dei beni della Lega per una truffa di quasi 49 milioni di euro, si è scatenato il Pd. Ma il M5S non ha attaccato.

Eppure, il mantra dell’«onestà» è sempre stato uno spartiacqu­e per i seguaci di Beppe Grillo. È stato usato come arma letale per colpire gli avversari politici. Stavolta, invece, Di Maio si è limitato a scaricare le responsabi­lità su Bossi, aggiungend­o solo che le sentenze vanno rispettate. Di fatto, è una scelta di realpoliti­k per non mettere nell’angolo Salvini. Il leader leghista ha chiesto un incontro al capo dello Stato, Sergio Mattarella, rilanciand­o la tesi secondo la quale la sentenza della Cassazione sarebbe « un gravissimo attacco alla democrazia», hanno sostenuto «fonti della Lega». Un modo «per mettere fuori gioco per via giudiziari­a il primo partito italiano».

In cambio, Salvini ha preso educatamen­te le distanze dal cosiddetto «decreto di dignità» voluto da Di Maio per riaffermar­e l’identità sociale grillina. Con malizia, è stata notata la sua assenza dal Consiglio dei ministri nel quale la misura è stata approvata. E ieri sia lui, sia altri ministri leghisti hanno fatto sapere che alcune norme saranno cambiate in Parlamento. Sanno che sono invise a pezzi importanti dell’elettorato leghista del Nord. E Forza Italia e Silvio Berlusconi non perdono occasione per ricordare all’«alleato Salvini» l’ostilità dei piccoli imprendito­ri sui contratti a termine ridisegnat­i nel provvedime­nto. Ma la sensazione è che nessuno, né Lega né M5S voglia calcare la mano.

C’è un gruzzolo di conflittua­lità potenziale che ognuno sembra mettere da parte, in attesa di tempi peggiori: quando l’anomalia del «contratto» diventerà scontro. Occorreran­no mesi, però, perché l’equilibrio precario creato dalla «diarchia» si spezzi. In fondo, l’aggressivi­tà un po’ disperata delle opposizion­i dimostra che altre soluzioni non esistono: nonostante cresca il rischio concreto di un isolamento dell’italia in Europa. I rumori di fondo sulla chiusura della frontiera austriaca non sono avvisaglie amichevoli. Le parole allarmate dette ieri da Mattarella riflettono il timore per un’italia vittima dell’allarmismo e delle tesi «sovraniste».

 ??  ?? A Casal di Principe Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, 31 anni, e il ministro dell’ambiente Sergio Costa, 59 anni, alla casa di Don Peppe Diana per presentare il decreto sulla Terra dei Fuochi, dopo il rogo di San Vitaliano (Ansa)
A Casal di Principe Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, 31 anni, e il ministro dell’ambiente Sergio Costa, 59 anni, alla casa di Don Peppe Diana per presentare il decreto sulla Terra dei Fuochi, dopo il rogo di San Vitaliano (Ansa)

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