L’inchiesta sul Consiglio di Stato, ex giudice arrestato per corruzione «Soldi per le sentenze aggiustate»
Siracusa, le accuse dell’avvocato Amara finito in cella a febbraio
SIRACUSA Nonostante l’indicazione di Renzi, due anni fa non riuscì ad approdare al Consiglio di Stato perché già sanzionato per il ritardo nel deposito delle sentenze. Un’inezia rispetto alle accuse adesso rovesciate su Giuseppe Mineo, giudice del massimo organo della giustizia amministrativa in Sicilia, il Cga, 46 anni, associato di diritto privato all’ateneo di Catania, arrestato ieri per una insolita tangente: 115 mila euro apparentemente elargiti da una famiglia di imprenditori di Siracusa come prova di solidarietà a favore di un malato terminale eccellente da curare in una clinica privata a Malta, un ex governatore della Sicilia poi deceduto un anno fa.
Ma c’è ben altro nelle scatole L’indagine
● Giuseppe Mineo, ex giudice amministrativo è stato arrestato ieri per corruzione
● Il provvedimento è stato disposto dal gip di Messina su richiesta della Procura diretta da Maurizio de Lucia cinesi di questo affare esploso lo scorso febbraio attorno alle sentenze «aggiustate» al Consiglio di Stato e al Cga siciliano a favore della Am Group e della Open Land, società del gruppo Frontino interessato alle autorizzazioni per il centro commerciale «Fiera del Sud» in viale Epipoli, a Siracusa.
C’è un maxirisarcimento ingiustamente imposto al Comune di Siracusa a vantaggio della Open Land con l’esborso di una prima tranche di 2 milioni e 800 mila euro. Prima effimera vittoria degli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, entrambi arrestati in febbraio e adesso considerati gole profonde della Procura di Messina, pronte a svelare la corruzione attribuita a Giuseppe Mineo, magistrato relatore in una delle cause celebrate nel corso del lungo contenzioso amministrativo. Primo effimero successo seguito adesso da un decreto ingiuntivo che obbliga la società a restituire il maltolto alle pubbliche casse.
Su Siracusa aveva allungato la mano una lobby di uomini politici, funzionari e imprenditori che con l’aiuto di un paio di magistrati stava costruendo le basi per depredare il Comune. Chiedendo, forti di un verdetto pilotato fin dentro le stanze del Cga, «un risarcimento montato via via, fino a 42 milioni di euro», come dice indignato il neo sindaco Francesco Italia.
È la trama confermata dalla Procura di Messina intervenendo sulla città di Archimede perché nell’affare era coinvolto anche un magistrato del tribunale aretuseo, scoperto da otto suoi colleghi, denunciato e arrestato in febbraio con Amara e Calafiore, l’ex pm Giancarlo Longo.
È il tormento di una comunità rosa ormai da anni da veleni che attraversano tutti i settori produttivi e politici. Come si è visto alle ultime elezioni comunali vinte dal sindaco controcorrente, adesso ● Giuseppe Mineo, ex giudice del Consiglio di Giustizia amministrativa siciliano e professore associato di Diritto privato all’ateneo di Catania soddisfatto perché negli ultimi anni, da vice sindaco della giunta uscente, si era impegnato a fronteggiare quella lobby, come ricorda Italia: «Se fossero riusciti ad afferrare 42 milioni, la città sarebbe fallita». E di default parlava già tempo fa con una interrogazione il deputato grillino Stefano Zito. Posizioni adesso avvalorate dalle confessioni acquisite a Messina dai due principali protagonisti, appunto gli avvocati Amara e Calafiore.
Sono le loro ammissioni a terrorizzare la lobby che aveva pensato di appropriarsi dei gangli vitali della città anche facendo leva su un personaggio definito il «facilitatore», Alessandro Ferraro, tramite per il bonifico di 115 mila euro su un conto maltese, a vantaggio dell’ex governatore Giuseppe Drago. Frutto di una tangente a scopo umanitario, si potrebbe dire, incastonata come la tessera di un mosaico ben più complesso. E dire che il Tar di Catania aveva respinto il ricorso dando torto ai Frontino. Ma con decisione ribaltata dal Cga dove le indagini non sembrano concluse.
Giustizia
Mineo lavorava al Consiglio di Giustizia amministrativa siciliano