La forza di un grande comunicatore
Giovanni Paolo II grande comunicatore. Mi trovo d’accordo con questa espressione, ma ci può trarre in inganno. Perché quello che ci viene in mente del grande comunicatore è la sua bella voce, il gesto, la sua espressività magnifica… Erano le sue armi... Ma era per questo che lo chiamavamo il grande comunicatore?
La domanda chiave è: Lui che cosa comunicava? Da cui ne dipende un’altra: perché lo chiamiamo il grande comunicatore?
Perché comunicava Dio. Comunicava progetti, comunicava traguardi, comunicava valori: questa era la ricchezza che faceva di Giovanni Paolo II un grande comunicatore; per tutto il contenuto di ciò che comunicava.
A che cosa si deve il «successo» che aveva con i giovani? L’ho accompagnato nelle Giornate Mondiali della Gioventù. E non l’ho sentito parlare, nemmeno una sola volta, dei pericoli, dei rischi di una sessualità disordinata o capricciosa, mai! Invece l’ho sentito parlare della ricchezza e della bellezza dell’amore umano. Non l’ho sentito parlare nemmeno una volta con i giovani — forse nemmeno con gli adulti — dell’egoismo. L’ho sentito parlare di un mondo in cui tutti cercassimo di pensare un pochino meno a noi stessi e un pochino di più agli altri. Era propositivo, era continuamente propositivo, proponeva traguardi: non «come potete fare qualcosa di meglio», ma «come essere migliori», sorpassando questa dialettica così curiosa della filosofia morale contemporanea con quell’insistenza sul fare. No, lui parlava di «essere di più», non del «fare di più».
Durante un incontro con i giovani, a Los Angeles, si alza un elevatore su cui appare un ragazzo latino senza braccia.
Tra i ragazzi «Mai l’ho sentito parlare dei rischi di una sessualità disordinata. L’ho sentito parlare della bellezza e ricchezza dell’amore umano»
Probabilmente aveva diciannove-vent’anni. Aveva con sé una chitarra e suonava meravigliosamente bene con le dita dei piedi. Il Papa lo ascoltò. Poi è balzato in piedi e si è portato tra la gente… Quel ragazzo non poteva neanche abbracciarlo… Lui gli disse: «Continua a fare felice la gente con questi concerti».
Quale era il tema della comunicazione di Giovanni Paolo II? Io ho avuto la fortuna, in un atto supremo di incoscienza, di porre questa domanda al Santo Padre. Fui agevolato dal contesto: ci trovavamo a cena a Castel Gandolfo, d’estate. «Santo Padre», chiesi, «c’è qualcosa che riassume il suo pontificato?». Correva l’anno 1986, quindi ancora molto presto. La riposta testuale del Papa fu: «Il punto centrale è la nostra responsabilità, è mantenere il carattere trascendente della persona umana, che può convertirsi molto facilmente in prodotto, in oggetto. È necessario difendere il carattere specifico della persona umana, del rispetto umano, della responsabilità umana; questa è la base del mio insegnamento».
Ma vale la pena riportare un’altra citazione che il Papa espresse in inglese: «The evil of our times consists in the first place in a kind of degradation, indeed in a pulverization, of the fundamental uniqueness of each human person» (il male dei nostri tempi consiste, in primo luogo, in una specie di degradazione, in effetti in una polverizzazione, dell’unicità fondamentale di ogni persona umana). Per contrasto, ci rendiamo conto che uno dei grandi temi della cultura contemporanea è il vuoto antropologico. Non si sa più chi sia l’essere umano. Ciò nonostante i parlamenti, il legislatore, le Nazioni Unite continuano a emettere delle leggi perché le compia un essere che non si sa, che anche loro non sanno chi sia veramente.