Corriere della Sera

«Giacomo è stato ed è ancora compagno di giochi e sogni»

Bocelli apre la kermesse: l’ho amato ancor prima di imparare a leggere

- di Giuseppina Manin

Si comincia in Gloria

«Si comincia dall’inizio. La Messa di Gloria è l’esordio musicale di Puccini, il suo saggio d’esame. Aveva 22 anni. E se il buon giorno si vede dal mattino…», sospira Andrea Bocelli che il 6 luglio, Carlo Bernini sul podio, aprirà a Torre del Lago il 64 esimo Festival pucciniano con quello che lui considera «il primo capolavoro del maestro di Lucca».

Partitura giovanile ma già matura

«L’architettu­ra musicale solenne, la perizia contrappun­tistica, i chiaroscur­i dei caratteri lasciano trasparire “il Puccini che sarà”. Che già mostra di sapere trattare le voci. E anche di metterle alla prova. L’aria d’apertura, Gratias agimus tibi, è tra le più impervie per voce tenorile, richiede fiati lunghi… Ma è anche tra i momenti più toccanti di un brano che lui amava molto, tanto da citarne alcuni temi in Manon Lescaut e in Edgar».

È anche l’unico brano sacro di Puccini. Secondo lei era credente?

«Difficile a dirsi… Osservante forse no, ma religioso, penso di sì. Un dono come il suo non è figlio del caso, quella musica veniva dal Cielo. E lui certo lo sapeva».

Il suo legame con Puccini è di lunga data...

«Ho iniziato ad amarlo prima ancora di saper leggere e scrivere. Per caso scoprii Che gelida manina e ne restai folgorato. E Bohéme fu anche la prima opera che, ragazzino, ascoltai qui a Torre del Lago. Cantava Corelli, il mio idolo. Poi arrivarono le altre opere, Tosca, Turandot… Cantavo quelle arie, fantastica­vo su quelle storie, immaginand­o di esserne il protagonis­ta. Puccini è stato il mio compagno invisibile di giochi e di sogni. E lo è ancora».

Il suo debutto al Festival come cantante?

«Nel 2004 con Tosca. Ero Cavaradoss­i, dipingevo appeso a un trabattell­o, i due paggetti che mi portavano i colori erano i miei figli. Amos, ora laureato in ingegneria aerospazia­le e diplomato in pianoforte, e Matteo, che studia canto al conservato­rio».

Bella voce?

«Molto bella e molto grande, il doppio della mia. Mi sa che cantare sarà il suo destino, anche se, conoscendo le difficoltà e le tensioni del mestiere, avrei preferito che facesse altro. Ma avendo sempre predicato la libertà di scelta, non posso oppormi».

E oggi, cosa vuol dire per lei tornare a Torre del Lago?

«Un’emozione a cui non mi abituo. Una sensazione strana, difficile da spiegare. Ogni volta che arrivo qui non posso fare a meno di portare un fiore sulla sua tomba, di accarezzar­e il suo piano. Questo luogo è magico e questo festival che si affaccia sul suo lago, accanto alla sua casa, è di importanza fondamenta­le. Se gli americani avessero Torre del Lago ne avrebbero fatto una miniera d’oro. Mentre noi, la patria del bel canto, buttiamo via i nostri tesori».

Cosa prevede la sua estate?

«A fine luglio l’appuntamen­to è al mio Teatro del Silenzio a Lajatico. Stavolta con Andrea Chénier di Giordano. E l’8 settembre sarò in Arena, per il mio show di musica e solidariet­à con artisti quali Carla Fracci e Leo Nucci, Isabel Leonard, Aida Garifullin­a, Sergei Polunin… Un modo per festeggiar­e i miei 25 anni di palcosceni­co e raccoglier­e fondi a sostegno dei progetti della mia Foundation e del Muhammad Ali Parkinson Center».

Il 26 ottobre esce il suo nuovo album, «Sì».

«Bel titolo vero? L’ha proposto mio figlio, l’ingegnere. Sì è una parola breve ma chiave. Quella che tutti speriamo di sentirci dire. Per un bacio, un abbraccio, un perdono… La vita ha troppi no, il mio “Sì” è un invito a realizzare i desideri».

Non facile in tempi duri come questi.

«Di tempi duri sento parlare da quando sono nato. È sempre stato il peggior momento, la crisi più nera… In realtà stiamo vivendo un benessere mai visto prima. Sono fiducioso del futuro. E dico sì, mille volte sì, a quel dono meraviglio­so che è la vita».

Se gli americani avessero Torre del Lago ne avrebbero già fatto una miniera d’oro. Questo luogo è magico

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Inaugurazi­one Il maestro del canto, Andrea Bocelli

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