Tabarez il saggio sfida Deschamps Tite il gestore delle star L’unità di gruppo di Cherchesov
MOSCA Non sono arrivati a Mosca accompagnati dalla fanfara, ma ora sono saltati in tanti sul loro carro. Otto c.t. per gli ottavi di finale: da qui al 15 luglio uno sarà eroe per caso.
OSCAR WASHINGTON TABAREZ (Uruguay), la saggezza. Convive con la sindrome di Guillain-barré e dodici anni fa la Federcalcio gli aveva offerto un ingaggio al ribasso (240mila dollari all’anno) perché rifiutasse il posto. Lo credevano un «nonnino» buono, ma era una belva. Ha ridisegnato la squadra con un «rombo» a centrocampo — Torreira dietro e Bentancur davanti — e sa giocare con il doppio centravanti.
DIDIER DESCHAMPS (Francia), la fiducia. Dopo la sconfitta nell’europeo di casa, due anni fa, era a rischio. Lo hanno confermato e i risultati sono arrivati. Didì è più realista che rivoluzionario, ma si è «inventato» due terzini giovanissimi (Pavard e Hernandez, classe 1996) e ha dato il 10 a Mbappé (1998). La meglio gioventù paga, se la fai giocare.
TITE (Brasile), la gerarchia. Non è semplice gestire Neymar, Coutinho, Gabriel Jesus e Firmino con un pallone solo, ma Tite ha fatto subito scelte chiare. È quello che ha ottenuto di più con le squadre di club: il suo Corinthians (2012, contro il Chelsea) è stata l’ultima sudamericana a vincere il Mondiale per club. Ora vuole quello vero. ROBERTO MARTINEZ (Belgio), la disciplina. Quante critiche, dai tifosi belgi e italiani, per l’esclusione di Radja Nainggolan. Il sergente maggiore Martinez, però, non voleva problemi di gossip. Non è simpatico nemmeno ai parenti, ma la mossa contro il Giappone quando era sotto 0-2 fuori i due attaccanti Mertens e Carrasco e dentro i due centrocampisti Fellaini e Chadli, poi autori del 2-2 e del 3-2 — è stata la «genialata»
tattica del Mondiale.
JANNE ANDERSSON (Svezia), l’iconoclastia. La Svezia è spinta dal «lato B»: papera di Lloris per qualificarsi ai playoff; autogol di De Rossi per passare i playoff; autogol di Akanji (ma per la Fifa è gol di Forsberg) per andare ai quarti. Però Andersson - il meno pagato degli otto: 450 mila euro - si è conquistato la squadra dicendo no al ritorno di Zlatan Ibrahimovic. E non era facile. GARETH SOUTHGATE (Inghilterra), l’opportunismo. Era il Di Biagio inglese, allenatore dell’under 21 quando è scoppiato lo scandalo Allardyce. L’allora c.t. dispensò consigli a finti uomini d’affari del Medio Oriente — in realtà giornalisti — su come aggirare le regole inglesi, che vietano le terze proprietà dei cartellini dei giocatori, e guadagnare soldi. Cacciato. La Federcalcio si prese tempo per scegliere il successore e mise Southgate pro tempore per quattro partite. Ora sogna di diventare il nuovo Alf Ramsey.
STANISLAV CHERCHESOV (Russia), le radici. Sembrava destinato al macello e invece continua a ricevere telefonate di ringraziamento da Vladimir Putin. È stato il portiere di tre «nazioni» — Urss, Csi e Russia — ma non aveva mai allenato una nazionale. Ha creato un gruppo capace di soffrire e trarre il massimo dal minimo: possesso palla al 35,65%.
ZLATKO DALIC (Croazia), il tempismo. Era a spasso, dopo anni tra Arabia Saudita e Emirati. La Croazia era finita seconda nel girone, dietro all’islanda, e la Federcalcio non aveva più fiducia nel c.t. Cacic. Dalic è arrivato a due giorni dal barrage contro l’ucraina: vinco, resto; se perdo, tolgo il disturbo. Poi si è affidato ai grandi vecchi, ma ha mandato a casa Kalinic quando ha fatto le bizze. Il duro last minute.