Fantozzi, un campione dell’inadeguatezza un po’ masochista
Ètrascorso un anno dalla morte di uno degli attori più amati del cinema italiano e alcune tv gli hanno reso omaggio: Iris ha programmato il suo film più celebre «Fantozzi», regia di Luciano Salce, 1975 (martedì, ore 21.20) e Sky Arte ha trasmesso «La voce di Fantozzi» di Mario Sesti (ore 22.10), un documentario che rievoca storia, disavventure e successo del ragionier Ugo Fantozzi (tutto cominciò nel 1968, quando il direttore dell’europeo Tommaso Giglio gli commissionò una rubrica settimanale), dando voce al ragioniere stesso e ad alcuni amici, tra cui Roberto Benigni, Rosario Fiorello, Lino Banfi, Maurizio Costanzo, Enrico Vaime, Dario Fo.
Il lato debole delle interviste su personaggi famosi è che l’intervistato tende a parlare di se stesso; per questo il momento più interessante resta una confessione di Villaggio, racchiusa in una vecchia intervista: «Fantozzi fa ridere per il suo disperato rapporto che lui ha con la vita».
Su Fantozzi esistono due scuole di pensiero. Una, elevata a livello teorico da Claudio Giunta, sostiene che Fantozzi non è solo l’impiegato che si oppone a chi vuole colonizzare il suo tempo libero, lo sberleffo vivente nei confronti dell’imbecillità di chi ci comanda, ma è il campione dell’inadeguatezza, al punto che l’aggettivo «fantozziano» è «il nome della frizione tra un uomo semplice e le infinite trappole che la vita moderna semina sul suo cammino».
L’altra sostiene che Fantozzi, invece di sfidare le avversità, si mette a corteggiarle, in una sorta di autocompiacimento, di drammatizzato masochismo di riporto. Nessuna sfortuna gli resiste, nessuna iella gli è estranea, nessuna tentazione a soffrire lo lascia indifferente. Entrambe concordano sul fatto che Fantozzi, che è anche ribaldo e sregolato perché riesce a non farsi mai mancare una punta di sana malignità, sia un grande eroe della cultura nazional-popolare.