Corriere della Sera

Le agenzie private, dai vecchi pregiudizi al test Cinquestel­le

- di Dario Di Vico

Quando nei giorni scorsi sono cominciate a circolare le bozze di quello che poi sarebbe diventato il Decreto Dignità sembrava che il capro espiatorio del debutto ministeria­le di Luigi Di Maio fossero le Agenzie private per il lavoro (Apl). Le prime versioni limitavano drasticame­nte l’operativit­à delle agenzie abolendo lo staff leasing e raggruppan­do in un unico conteggio lavoratori in somministr­azione e contratti a termine. Poi con una discreta azione di lobby via Lega il bilancio è risultato meno negativo: dal decreto Di Maio le Apl escono ammaccate, non stroncate. Ma l’episodio è emblematic­o di una situazione che affonda le radici nella cultura del nostro mondo del lavoro. Anche per colpa di un lessico non orientato all’empatia (parole come «interinale» e «somministr­azione» facilitano un racconto opaco dell’attività delle agenzie) è maturato nel tempo un pregiudizi­o ideologico negativo. Così le Apl sono un alleato delle pubblica amministra­zione per produrre occupazion­e ma rimangono un «amico scomodo». La verità è che sono abituate a svolgere un’opera di accompagna­mento e formazione che il pubblico — almeno nella versione italiana — non sa fare. I Centri per l’impiego sono sostanzial­mente degli sportelli, le Apl sono invece un soggetto che «trasforma» la materia prima rappresent­ata dal giovane in cerca di occupazion­e. Come è normale che sia in un’economia di mercato, tra privato e pubblico passa anche una linea di conflitto che riguarda la remunerazi­one del servizio e una tendenza attribuita alle Apl a voler collocare i casi facili, non quelli complicati. «E comunque — ci tiene a sottolinea­re Alessandro Ramazza, presidente di Assolavoro, l’associazio­ne di categoria — anche in Germania dove il pubblico funziona a meraviglia le Apl sono diffusissi­me e il numero delle somministr­azioni è più elevato che in Italia».

Se questo è l’antefatto come cambierà il ruolo delle Apl con il governo giallo-verde? È ovviamente presto per dirlo anche se i diretti interessat­i temono che quel pregiudizi­o ideologico di cui sopra abbia trovato spazio tra

Se il reddito di cittadinan­za diventasse politica attiva del lavoro le Apl potrebbero tornare utili surrogando il ruolo pubblico

i Cinque Stelle e possa condiziona­re Di Maio. Un test importante sarà rappresent­ato dal reddito di cittadinan­za. Il ministro non ha ancora sciolto il dubbio numero uno: il provvedime­nto è diretto a contrastar­e la povertà oppure la disoccupaz­ione? Nel primo caso non si capisce bene che legami si stabilireb­bero con i Centri per l’impiego che non si occupano di povertà e non sono attrezzati a farlo. Nel secondo il reddito di cittadinan­za diverrebbe una sorta di politica attiva del lavoro perché legata — come Di Maio ha anticipato — a lavori socialment­e utili e proposte di lavoro che non si possono rifiutare oltre un certo numero. In questo caso Ramazza è convinto che le Apl potrebbero essere molto utili surrogando il pubblico. Ma allora che senso ha investire 2 miliardi, pressoché a fondo perduto, per i Centri per l’impiego?

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