Corriere della Sera

LA POLITICA SULLE MIGRAZIONI DEVE ESSERE COLLEGIALE

Regole I negoziati europei sul problema dell’accoglienz­a richiedera­nno una capacità decisional­e che va ben al di là delle competenze del solo ministro dell’interno

- di Stefano Passigli

I l drastico cambiament­o di politica nei confronti del fenomeno migratorio voluto dal ministro Salvini pone, oltre ad evidenti problemi di merito, una significat­iva questione istituzion­ale circa il ruolo del Premier e del Consiglio dei Ministri.

Quanto ai primi, è facile prevedere che l’italia rimarrà a lungo il principale paese verso cui si indirizzer­anno i flussi migratori. L’odissea dell’aquarius si è conclusa grazie ad un gesto umanitario del nuovo governo spagnolo, che non si può tuttavia ipotizzare debba necessaria­mente ripetersi. E’ perciò lecito dubitare che la politica di respingime­nto varata nei confronti dell’aquarius possa continuare in assenza di nuovi e diversi accordi internazio­nali, ed è altrettant­o lecito dubitare che il nostro governo possa avere la forza politica per imporre un significat­ivo cambiament­o degli attuali trattati e delle loro modalità di attuazione, come dimostra il mancato rispetto da parte degli stati del gruppo di Visegrád, ma anche di Francia e Spagna, delle quote di riallocazi­one di migranti loro assegnate. Una soddisface­nte soluzione del problema richiederà una riforma struttural­e delle politiche europee che superi la logica delle singole sovranità territoria­li degli stati e dei conseguent­i accordi intergover­nativi, e riconosca che la dimensione del fenomeno necessita la creazione di organismi sopranazio­nali dotati di adeguati poteri sull’intero territorio europeo. Lo si è fatto per la moneta unica e lo si sta estendendo a banche e mercati finanziari. Come non farlo per un fenomeno biblico come le attuali migrazioni?

Il governo, e in particolar­e Salvini e la Lega, appaiono tuttavia ben lontani da una simile cessione di sovranità. Inoltre, affermare che «chi arriva in Italia, arriva in Europa» apre la via a riconoscer­e il superament­o dei tradiziona­li confini territoria­li come elemento distintivo della sovranità nazionale, e consegna il fenomeno migratorio a decisioni sovranazio­nali, oggi intergover­native ma in futuro forse sempre più comunitari­e. Paradossal­mente, lungi dal riaffermar­e la sovranità nazionale la politica di Salvini rischia così di tradursi nel suo opposto.

Il superament­o delle sovranità nazionali sarà lungo e difficile, e potrà portare molti a dubitare che l’unità politica dell’europa sia raggiungib­ile. Ma il processo verso una maggiore integrazio­ne politica ed un’ulteriore rinuncia a elementi di sovranità nazionale è la sola risposta possibile nei confronti di un fenomeno che trova le sue basi in un andamento

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Noi e gli altri

Le nostre decisioni sull’emergenza profughi pongono una seria questione istituzion­ale

demografic­o che ha visto la popolazion­e africana passare da 227 milioni nel 1950 agli attuali 1.300 circa, ai 2.500 previsti per il 2050. Non sarà certo il «sovranismo» e la chiusura degli stati nazionali nei confronti di una logica comunitari­a a portare soluzione ad un fenomeno di una tale magnitudin­e.

L’adozione di una risposta europea che superi le logiche nazionali pone al nostro paese una seria questione istituzion­ale. I futuri negoziati richiedera­nno infatti una capacità decisional­e che va ben al di là delle competenze del solo ministro dell’interno. Occorre insomma che la politica del governo sia il risultato della collegiali­tà del Consiglio dei Ministri e frutto di un ampio confronto parlamenta­re. Il mi- nistro dell’interno è il massimo responsabi­le della sicurezza interna, ma la politica del governo nei confronti del fenomeno migratorio chiama in causa la nostra visione dell’europa e del futuro dei rapporti internazio­nali dell’italia, e va ben al di là del solo problema della sicurezza. Non è dunque questione che può essere lasciata al solo Salvini. E’ questione che il Presidente del Consiglio — che a norma dell’art. 95 della Costituzio­ne «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabi­le», mantenendo «l’unità di indirizzo politico e amministra­tivo» e «coordinand­o le attività dei ministri» — deve prendere nelle sue mani lasciando a Salvini il ruolo di esecutore di politiche collegiali proposte dal governo e approvate dal Parlamento. A tutt’oggi Conte non lo ha fatto, non bastando certo ad affermare il suo ruolo costituzio­nale due affrettate visite a Parigi e Berlino, e la sua presenza ai vertici internazio­nali.

In previsione dei prossimi appuntamen­ti europei è necessario che Conte convochi sempre il Consiglio dei Ministri, con un ordine del giorno ad hoc, come da prassi comunicato e discusso con il Presidente della Repubblica. A meno che non si sia al tempo stesso così arroganti ed ingenui da considerar­e il fenomeno migratorio come un semplice problema di sicurezza. A meno che il M5S non si rassegni a non avere voce e ruolo nell’affrontare il problema più rilevante dei prossimi decenni. A meno di non voler snaturare la nostra Costituzio­ne che impone che un simile problema — che coinvolge il rispetto dei trattati internazio­nali e i futuri limiti della nostra stessa sovranità, e che minaccia la coesione sociale e la tenuta democratic­a del nostro paese — sia affrontato dal governo in termini collegiali e portato al confronto con le opposizion­i in Parlamento.

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