LA POLITICA SULLE MIGRAZIONI DEVE ESSERE COLLEGIALE
Regole I negoziati europei sul problema dell’accoglienza richiederanno una capacità decisionale che va ben al di là delle competenze del solo ministro dell’interno
I l drastico cambiamento di politica nei confronti del fenomeno migratorio voluto dal ministro Salvini pone, oltre ad evidenti problemi di merito, una significativa questione istituzionale circa il ruolo del Premier e del Consiglio dei Ministri.
Quanto ai primi, è facile prevedere che l’italia rimarrà a lungo il principale paese verso cui si indirizzeranno i flussi migratori. L’odissea dell’aquarius si è conclusa grazie ad un gesto umanitario del nuovo governo spagnolo, che non si può tuttavia ipotizzare debba necessariamente ripetersi. E’ perciò lecito dubitare che la politica di respingimento varata nei confronti dell’aquarius possa continuare in assenza di nuovi e diversi accordi internazionali, ed è altrettanto lecito dubitare che il nostro governo possa avere la forza politica per imporre un significativo cambiamento degli attuali trattati e delle loro modalità di attuazione, come dimostra il mancato rispetto da parte degli stati del gruppo di Visegrád, ma anche di Francia e Spagna, delle quote di riallocazione di migranti loro assegnate. Una soddisfacente soluzione del problema richiederà una riforma strutturale delle politiche europee che superi la logica delle singole sovranità territoriali degli stati e dei conseguenti accordi intergovernativi, e riconosca che la dimensione del fenomeno necessita la creazione di organismi sopranazionali dotati di adeguati poteri sull’intero territorio europeo. Lo si è fatto per la moneta unica e lo si sta estendendo a banche e mercati finanziari. Come non farlo per un fenomeno biblico come le attuali migrazioni?
Il governo, e in particolare Salvini e la Lega, appaiono tuttavia ben lontani da una simile cessione di sovranità. Inoltre, affermare che «chi arriva in Italia, arriva in Europa» apre la via a riconoscere il superamento dei tradizionali confini territoriali come elemento distintivo della sovranità nazionale, e consegna il fenomeno migratorio a decisioni sovranazionali, oggi intergovernative ma in futuro forse sempre più comunitarie. Paradossalmente, lungi dal riaffermare la sovranità nazionale la politica di Salvini rischia così di tradursi nel suo opposto.
Il superamento delle sovranità nazionali sarà lungo e difficile, e potrà portare molti a dubitare che l’unità politica dell’europa sia raggiungibile. Ma il processo verso una maggiore integrazione politica ed un’ulteriore rinuncia a elementi di sovranità nazionale è la sola risposta possibile nei confronti di un fenomeno che trova le sue basi in un andamento
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Noi e gli altri
Le nostre decisioni sull’emergenza profughi pongono una seria questione istituzionale
demografico che ha visto la popolazione africana passare da 227 milioni nel 1950 agli attuali 1.300 circa, ai 2.500 previsti per il 2050. Non sarà certo il «sovranismo» e la chiusura degli stati nazionali nei confronti di una logica comunitaria a portare soluzione ad un fenomeno di una tale magnitudine.
L’adozione di una risposta europea che superi le logiche nazionali pone al nostro paese una seria questione istituzionale. I futuri negoziati richiederanno infatti una capacità decisionale che va ben al di là delle competenze del solo ministro dell’interno. Occorre insomma che la politica del governo sia il risultato della collegialità del Consiglio dei Ministri e frutto di un ampio confronto parlamentare. Il mi- nistro dell’interno è il massimo responsabile della sicurezza interna, ma la politica del governo nei confronti del fenomeno migratorio chiama in causa la nostra visione dell’europa e del futuro dei rapporti internazionali dell’italia, e va ben al di là del solo problema della sicurezza. Non è dunque questione che può essere lasciata al solo Salvini. E’ questione che il Presidente del Consiglio — che a norma dell’art. 95 della Costituzione «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile», mantenendo «l’unità di indirizzo politico e amministrativo» e «coordinando le attività dei ministri» — deve prendere nelle sue mani lasciando a Salvini il ruolo di esecutore di politiche collegiali proposte dal governo e approvate dal Parlamento. A tutt’oggi Conte non lo ha fatto, non bastando certo ad affermare il suo ruolo costituzionale due affrettate visite a Parigi e Berlino, e la sua presenza ai vertici internazionali.
In previsione dei prossimi appuntamenti europei è necessario che Conte convochi sempre il Consiglio dei Ministri, con un ordine del giorno ad hoc, come da prassi comunicato e discusso con il Presidente della Repubblica. A meno che non si sia al tempo stesso così arroganti ed ingenui da considerare il fenomeno migratorio come un semplice problema di sicurezza. A meno che il M5S non si rassegni a non avere voce e ruolo nell’affrontare il problema più rilevante dei prossimi decenni. A meno di non voler snaturare la nostra Costituzione che impone che un simile problema — che coinvolge il rispetto dei trattati internazionali e i futuri limiti della nostra stessa sovranità, e che minaccia la coesione sociale e la tenuta democratica del nostro paese — sia affrontato dal governo in termini collegiali e portato al confronto con le opposizioni in Parlamento.