Moavero e la crisi più rischiosa
Moavero è il ministro delle Crisi: dopo aver vissuto a fianco di Monti gli anni del cataclisma economico, ora si trova insieme a Conte a gestire il dramma migratorio. E c’è un motivo se tra le due emergenze il titolare degli Esteri considera l’ultima «la più pericolosa», perché coglie l’europa «priva di strumenti» per fronteggiarla.
Il responsabile della Farnesina, messe a confronto le due stagioni, ha individuato il problema e gli ha dato un nome: «Quello che oggi manca è la scatola degli attrezzi». Dieci anni fa, quando il crack finanziario si abbattè sui debiti sovrani, «per quanto la crisi fosse acuta e per certi aspetti anche imprevista», il sistema ebbe gli arnesi e il know-how per porvi riparo, perché «la crisi aveva toccato una materia sulla quale c’erano trattati e strutture consolidate». Così emerse una «linea di politica economica», sebbene controversa e ancora oggi contestata.
Dieci anni dopo invece, davanti a un fenomeno che non ha eguali nella storia dell’umanità, l’europa non ha una «linea di politica per le migrazioni», priva com’è di leggi per fronteggiare l’emergenza. La Convenzione di Dublino, infatti, regola solo il diritto d’asilo per i rifugiati di Paesi terzi, mentre Schengen riguarda la libera circolazione all’interno dell’unione. Altro non c’è, e non ci sono quindi le basi giuridiche per imporre ai Paesi europei degli obiettivi, al contrario di quanto accade in altri settori: dalla Concorrenza fino all’ambiente.
Alla Farnesina attendono di conoscere nel dettaglio il piano sui migranti annunciato dal presidente della Commissione, Juncker. Fonti qualificate sostengono possa trattarsi di un progetto che miri a stimolare la nascita sul territorio dell’unione di centri di accoglienza, in modo da aiutare i Paesi rivieraschi sottoposti oggi a grande pressione. Ma non si nasconde il timore che l’iniziativa possa fare la stessa fine del piano precedente, quando Bruxelles dispose le «quote obbligatorie» per la suddivisione dei rifugiati: da tre governi l’italia è ancora in attesa che quelle regole vengano rispettate.
Ed ecco il punto. Il vuoto legislativo ha provocato un pericoloso corto-circuito nell’opinione pubblica del Vecchio Continente: l’europa che controlla rigidamente anche la misura delle zucchine, si mostra assente su un tema che — insieme a quello economico — ha avuto un impatto tale da aver cambiato gli equilibri politici in molti parlamenti nazionali. In attesa che tutto ciò si verifichi l’anno prossimo a Strasburgo. Moavero ne è consapevole e ha colto un processo di mutazione anche nei comportamenti dei suoi colleghi.
Dieci anni fa a Bruxelles, i ministri si sforzavano di discutere tra loro usando una lingua che consentisse di fare a meno degli interpreti. Dieci anni dopo ogni rappresentante adotta l’idioma nazionale per esprimere la posizione del proprio governo. È un (altro) segno tangibile della crisi, di un’europa alla rovescia, dove la solidarietà ha lasciato ormai il posto all’incomunicabilità. E l’obiettivo non sembra più quello di cercare una soluzione comune ma di rivolgersi ai rispettivi elettorati dentro confini che si ritenevano abbattuti.
Nonostante un’analisi preoccupata, Moavero ritiene però che l’ultimo Consiglio europeo abbia centrato sulla crisi migratoria «un primo obiettivo, per quanto parziale». Che si sia «iniziato a scrivere qualcosa» su quel foglio ancora bianco e senza norme condivise. Anche di questo ha discusso con Mattarella durante l’ultimo loro viaggio, e il capo dello Stato condivide con il titolare degli Esteri l’idea che il vertice abbia dato indirizzi «incoraggianti». È evidente la volontà di offrire l’immagine di un bicchiere mezzo pieno e insieme di arrestare un processo che sarebbe esiziale per l’europa. Per esempio, «colpire Schengen — secondo Moavero — vorrebbe dire distruggere il mercato comune e di lì a breve distruggere l’unione. Definitivamente».
Il messaggio non è rivolto solo ai partner europei, è una sorta di indirizzo politico al governo, come a segnalare delle colonne d’ercole da non oltrepassare. Il ministro che dieci anni fa lavorò con Monti e dieci anni dopo discute con Salvini, è la testimonianza di una linea di continuità che faticosamente ripropone l’europa come unico argine alle grandi crisi: «Fuori dall’unione c’è il nulla».
L’argine
Per il ministro l’europa è l’unico argine ai grandi problemi: «Fuori c’è il nulla»