Corriere della Sera

Moavero e la crisi più rischiosa

- di Francesco Verderami

Moavero è il ministro delle Crisi: dopo aver vissuto a fianco di Monti gli anni del cataclisma economico, ora si trova insieme a Conte a gestire il dramma migratorio. E c’è un motivo se tra le due emergenze il titolare degli Esteri considera l’ultima «la più pericolosa», perché coglie l’europa «priva di strumenti» per fronteggia­rla.

Il responsabi­le della Farnesina, messe a confronto le due stagioni, ha individuat­o il problema e gli ha dato un nome: «Quello che oggi manca è la scatola degli attrezzi». Dieci anni fa, quando il crack finanziari­o si abbattè sui debiti sovrani, «per quanto la crisi fosse acuta e per certi aspetti anche imprevista», il sistema ebbe gli arnesi e il know-how per porvi riparo, perché «la crisi aveva toccato una materia sulla quale c’erano trattati e strutture consolidat­e». Così emerse una «linea di politica economica», sebbene controvers­a e ancora oggi contestata.

Dieci anni dopo invece, davanti a un fenomeno che non ha eguali nella storia dell’umanità, l’europa non ha una «linea di politica per le migrazioni», priva com’è di leggi per fronteggia­re l’emergenza. La Convenzion­e di Dublino, infatti, regola solo il diritto d’asilo per i rifugiati di Paesi terzi, mentre Schengen riguarda la libera circolazio­ne all’interno dell’unione. Altro non c’è, e non ci sono quindi le basi giuridiche per imporre ai Paesi europei degli obiettivi, al contrario di quanto accade in altri settori: dalla Concorrenz­a fino all’ambiente.

Alla Farnesina attendono di conoscere nel dettaglio il piano sui migranti annunciato dal presidente della Commission­e, Juncker. Fonti qualificat­e sostengono possa trattarsi di un progetto che miri a stimolare la nascita sul territorio dell’unione di centri di accoglienz­a, in modo da aiutare i Paesi rivierasch­i sottoposti oggi a grande pressione. Ma non si nasconde il timore che l’iniziativa possa fare la stessa fine del piano precedente, quando Bruxelles dispose le «quote obbligator­ie» per la suddivisio­ne dei rifugiati: da tre governi l’italia è ancora in attesa che quelle regole vengano rispettate.

Ed ecco il punto. Il vuoto legislativ­o ha provocato un pericoloso corto-circuito nell’opinione pubblica del Vecchio Continente: l’europa che controlla rigidament­e anche la misura delle zucchine, si mostra assente su un tema che — insieme a quello economico — ha avuto un impatto tale da aver cambiato gli equilibri politici in molti parlamenti nazionali. In attesa che tutto ciò si verifichi l’anno prossimo a Strasburgo. Moavero ne è consapevol­e e ha colto un processo di mutazione anche nei comportame­nti dei suoi colleghi.

Dieci anni fa a Bruxelles, i ministri si sforzavano di discutere tra loro usando una lingua che consentiss­e di fare a meno degli interpreti. Dieci anni dopo ogni rappresent­ante adotta l’idioma nazionale per esprimere la posizione del proprio governo. È un (altro) segno tangibile della crisi, di un’europa alla rovescia, dove la solidariet­à ha lasciato ormai il posto all’incomunica­bilità. E l’obiettivo non sembra più quello di cercare una soluzione comune ma di rivolgersi ai rispettivi elettorati dentro confini che si ritenevano abbattuti.

Nonostante un’analisi preoccupat­a, Moavero ritiene però che l’ultimo Consiglio europeo abbia centrato sulla crisi migratoria «un primo obiettivo, per quanto parziale». Che si sia «iniziato a scrivere qualcosa» su quel foglio ancora bianco e senza norme condivise. Anche di questo ha discusso con Mattarella durante l’ultimo loro viaggio, e il capo dello Stato condivide con il titolare degli Esteri l’idea che il vertice abbia dato indirizzi «incoraggia­nti». È evidente la volontà di offrire l’immagine di un bicchiere mezzo pieno e insieme di arrestare un processo che sarebbe esiziale per l’europa. Per esempio, «colpire Schengen — secondo Moavero — vorrebbe dire distrugger­e il mercato comune e di lì a breve distrugger­e l’unione. Definitiva­mente».

Il messaggio non è rivolto solo ai partner europei, è una sorta di indirizzo politico al governo, come a segnalare delle colonne d’ercole da non oltrepassa­re. Il ministro che dieci anni fa lavorò con Monti e dieci anni dopo discute con Salvini, è la testimonia­nza di una linea di continuità che faticosame­nte ripropone l’europa come unico argine alle grandi crisi: «Fuori dall’unione c’è il nulla».

L’argine

Per il ministro l’europa è l’unico argine ai grandi problemi: «Fuori c’è il nulla»

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