È tornata in Italia l’attivista fermata
Anche i siriani ormai dicono di non sapere più dove sia seppellito, quando è stato impiccato in piazza a Damasco, al potere non c’era ancora il clan degli Assad, i nemici erano gli stessi: gli israeliani che erano riusciti a infiltrare quella spia, un ricco arabo che dava feste, offriva champagne e prostitute, beveva meno di tutti e ascoltava tutto.
Il tempo per la vedova di Eli Cohen si è fermato come sull’orologio che i servizi segreti sono riusciti a riportare a casa, da decenni cercano il corpo, i parenti — e la famiglia estesa del Mossad — aspettano ancora di potergli dare la sepoltura da eroe. Le informazioni raccolte da questo ebreo immigrato dall’egitto nel 1957 — e tre anni dopo mandato in missione — hanno permesso ai comandanti israeliani di arrivare alla Guerra dei Sei giorni preparati a vincerla.
Postazioni, ordini di battaglia, struttura dell’esercito: con il falso nome di Kamel Amin Thaabet e la vera ricchezza dei fondi del Mossad — si fingeva un uomo d’affari siriano appena rientrato milionario dall’argentina — Cohen è riuscito a diventare amico di generali e politici, a spingerli a confidarsi con lui che tornava dai viaggi all’estero con regali per tutti. Orologi di lusso come l’omega che — è sicura l’intelligence israeliana — ha indossato fino al giorno della morte, il 18 maggio del 1965.
Per cinque anni era riuscito
Èfinito l’incubo di Cristina Cattafesta in Turchia. Dopo 12 giorni di fermo nel sud-est a maggioranza curda, la 62enne attivista milanese è stata espulsa ed è rientrata ieri in Italia. La sua brutta avventura era iniziata il 24 giugno scorso, nel giorno delle elezioni in Turchia. Era stata fermata per «sospetta propaganda terroristica» a favore del Pkk per alcune foto sul suo profilo Facebook. Dopo poche ore le accuse sono cadute e la donna è stata trasferita nel centro per stranieri di Gaziantep in attesa dell’espulsione, con divieto di rientro in Turchia per 5 anni.
La copertura
Sotto falso nome si fingeva uomo d’affari e stringeva rapporti con politici e generali
a ingannare il regime di Damasco, a trasmettere i suoi dispacci che contenevano anche dettagli sulle relazioni con l’unione Sovietica e pettegolezzi di potere sulla borghesia siriana. «Sotto la pressione dei capi in patria e forse troppo fiducioso sulla tenuta della copertura — spiega Ronen Bergman, esperto di servizi segreti israeliani, sul New York Times — ha cominciato a mandare bollettini in codice Morse quasi tutti i giorni usando l’apparecchio telegrafico che teneva nascosto nell’appartamento. Ma il trasmettitore ha causato un’interferenza con la radio dello Stato Maggiore siriano acquartierato dall’altra parte della strada».
Catturato, torturato, processato, condannato a morte. Dopo l’impiccagione il corpo