Corriere della Sera

«Pubblicità sul web? Il 71% in mano ai big Più equità e sviluppo»

- Martina Pennisi

«C’è troppo in gioco perché Internet possa rimanere un far west». E per «troppo» si intende soldi e posti di lavoro. Spiega Carlo Noseda, presidente di Iab Italia, l’associazio­ne delle aziende di comunicazi­one e pubblicità: «L’economia digitale italiana vale 80 miliardi di euro e occupa 600 mila persone». Incalza: «Nel 2017 il web è diventato il primo mezzo per investimen­to (pubblicita­rio, ndr) pro capite e ha superato la tv per la prima volta nella storia (fonte: Human Highway)».

Il Parlamento europeo, intanto, ha fermato la direttiva sul copyright: «La crescita di Internet va normata, ma bisogna arrivare a una posizione condivisa e non a due fronti compatti con idee opposte», commenta Noseda. E rilancia, di fatto, la stessa palla quella della regolament­azione della Rete - nel campo del governo italiano.

«Il settore della pubblicità online è uno dei pochi a crescere a doppia cifra, +12% nel 2017. Peccato che il 71% sia nelle mani dei cosiddetti over the top che assorbono il 90% della crescita annuale. Le sole Google e Facebook l’anno scorso hanno fatturato 2 miliardi di euro e non hanno più di 250 persone assunte. Se non intervenia­mo subito finirà in poco tempo tutto nelle mani di due o tre realtà enormi. Agli altri non resterà che sperare in un’acquisizio­ne o dichiarare fallimento».

Sta pensando alla startup italiana Mosaicoon, che ha appena chiuso i battenti?

«Sì, è il perfetto esempio di come l’ossigeno per le realtà pic- Alla guida Carlo Noseda, uno dei fondatori e managing partner della filiale italiana di M&C Saatchi, dal 2014 è presidente di Iab Italia. L’associazio­ne specializz­ata nel campo della pubblicità digitale e della comunicazi­one interattiv­a cole o alternativ­e stia finendo».

Cosa propone?

«Chiediamo al governo di garantire l’equità fiscale e una sana concorrenz­a fra le aziende, italiane e internazio­nali, e di intervenir­e sul tema dei dati. Lo scandalo di Cambridge Analytica lo ha portato all’attenzione di tutti e ha messo la reputazion­e del web a dura prova, ma bisogna fare attenzione a non tornare indietro: il dato è la moneta virtuale della nostra economia digitale e ne avremo sempre più bisogno. Dobbiamo capire come regolament­arlo e proteggerl­o».

C’è il Gdpr europeo per questo. E la web tax è sia sul tavolo italiano sia su quello di Bruxelles.

«In questa fase non entriamo nel merito di quanto è già stato fatto, chiediamo che venga applicato con fermezza in modo da consentire una competizio­ne ad armi pari. Siamo poi a disposizio­ne per riscrivere e portare avanti le norme che possono essere cambiate e migliorate. E l’europa deve fare fronte comune contro Cina e Stati Uniti».

Come giudica l’approccio di questo governo al digitale?

«Sono consapevol­i del fatto che è uno strumento fondamenta­le per il Paese e può contribuir­e a creare posti di lavoro. Hanno dimestiche­zza con questi temi, sono arrivati a Palazzo Chigi anche grazie alla Rete».

Norme a parte, cosa si può fare per creare valide alternativ­e agli Ott?

«Stiamo compiendo alcuni passi, come la creazione di un indicatore per stabilire quali siano i bacini pubblicita­ri meritevoli e aiutare gli inserzioni­sti a capire dove investire. Ad esempio, secondo i nostri dati i giornali online garantisco­no un tasso di attenzione del 60% rispetto al 46% dei social. E la qualità e il rispetto delle regole vanno valorizzat­i».

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miliardi è il valore complessiv­o dell’economia digitale italiana che taglia trasversal­mente tutti i settori con un totale di 600 mila addetti

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