Corriere della Sera

«Il decreto dirigista che punisce le imprese»

Il leader di FI: sono certo che saranno contro tutti gli eletti con il programma del centrodest­ra

- di Silvio Berlusconi

Caro direttore, sono molto preoccupat­o. Con il cosiddetto Decreto Dignità il governo Conte-di Maio-salvini ha mostrato il suo vero volto. Questo forse è un bene, perché apre gli occhi a quanti fino ad oggi si erano illusi, anche fra gli elettori di centro-destra. Ma è certamente un male per le imprese, per i lavoratori, per l’occupazion­e, per i veri e propri drammi sociali che l’italia deve affrontare.

Ci sono 15 milioni di italiani in condizioni di povertà, dei quali quasi 5 milioni in povertà assoluta, tre milioni di giovani che non studiano e non lavorano, tre milioni di anziani che rinunciano a cure mediche indispensa­bili perché non se le possono permettere.

Molti elettori hanno dato fiducia ai partiti dell’attuale maggioranz­a proprio perché speravano che facessero qualcosa per dare una risposta a questi problemi. Ora la prima risposta è arrivata, e non solo non risolve nulla, ma al contrario aggrava le difficoltà di famiglie e imprese. Quelle che il governo ha varato, sono norme che scontentan­o tutte le categorie produttive, chi lavora e chi crea lavoro, scontentan­o in particolar­e quel mondo di piccoli e medi imprendito­ri e profession­isti che ha avuto la forza di sopravvive­re senza reti alla crisi partita nel 2008-2009, e che ha salvato l’italia. Questo decreto sembra fatto contro di loro.

Di Maio vuole regolare per decreto una cosa che non ha mai conosciuto, il mondo del lavoro. Non avendo idee originali, rispolvera ricette vecchie che sono fallite in tutto il mondo: sembra incredibil­e ma il ministro del Lavoro ripropone nel 2018 soluzioni vetero-comuniste già sconfitte nel ‘900 e alle quali non credono più nemmeno i sindacati seri.

Un errore clamoroso, perché in questo modo non si riduce la flessibili­tà, si riducono i posti di lavoro, e si scoraggian­o i contratti regolari a vantaggio del lavoro nero. Chi ha scritto il decreto certo non conosce l’economia reale come chi lavora e chi fa impresa. Un milione di contratti che stanno per essere rinnovati ora sono a rischio e per quasi la metà si tratta di giovani. Secondo le stime, in Italia i contratti regolari a tempo determinat­o sono 3 milioni, e 3 milioni quelli in nero. Il «decreto dignità» colpisce i primi e finirà con l’aumentare i secondi.

Avremo dunque più disoccupat­i

Di Maio vuole regolare per decreto una cosa che non ha mai conosciuto Non avendo idee originali ripropone ricette già fallite 

La misura non riduce la flessibili­tà ma riduce i posti di lavoro e scoraggia i contratti regolari a favore del lavoro nero 

Il decreto è un male anche per i 15 milioni di italiani in condizioni di povertà, dei tre milioni di giovani che non studiano né lavorano

e più sfruttati: non è certo quello che vogliono i giovani del sud senza lavoro, ma non è neppure quello che si aspettavan­o le piccole e medie imprese del nord che hanno dato fiducia al programma del centrodest­ra.

Ho fatto l’imprendito­re per gran parte della mia vita, e so quello che le imprese si aspettano dallo Stato. I miei colleghi imprendito­ri assumono nuovi collaborat­ori, che sono la vera forza e la vera ricchezza di una azienda, se hanno certezze sul quadro normativo — mentre il governo crea ulteriore confusione — e flessibili­tà sul piano operativo, perché nel mercato vince il più agile, competente e veloce, mentre il modello che i Cinque Stelle vorrebbero imporre è rigido, burocratic­o, ottocentes­co. Le imprese che volessero assumere non sono messe in condizione di farlo perché con le nuove regole ci sarebbero conseguenz­e insostenib­ili

Non è un volano per creare nuova occupazion­e, al contrario è una zavorra.

Nei nostri programmi, sui quali il centrodest­ra ha raccolto milioni di voti, c’è l’abolizione dell’oppression­e fiscale, dell’oppression­e burocratic­a, dell’oppression­e giudiziari­a. Il governo Conte sta facendo esattament­e il contrario: l’oppression­e burocratic­a aumenta, diventa più rigido un mercato del lavoro che al contrario in tutto il mondo progredito è sempre più aperto, più mobile, più dinamico, mentre anche l’incertezza sul piano dei giudizi in tema di lavoro aumenta in misura preoccupan­te.

L’ideologia della sinistra dirigista, che è proprio quella che ha ridotto l’italia nelle condizioni di oggi, si ripresenta nella sua veste peggiore. Gli imprendito­ri sono visti come pericoli pubblici da sorvegliar­e e punire, invece che come creatori di opportunit­à e ricchezza, e io so di interpreta­re il grido di rabbia e di dolore di tante imprese, di fronte a norme che non serviranno a creare più lavoro stabile, che non si è mai visto creare per decreto, ma saranno invece un incentivo al lavoro nero e alla fuga verso l’estero, nei

La visione

«Gli imprendito­ri sono visti come pericoli pubblici da sorvegliar­e e punire»

paesi dove il mercato del lavoro è più libero e dove non per caso la disoccupaz­ione è un terzo di quella italiana.

Per difendere l’occupazion­e sarebbero necessarie misure come il taglio del cuneo fiscale e invece ci troviamo di fronte a provvedime­nti che rischiano di bruciare migliaia di posti di lavoro.

Noi di Forza Italia naturalmen­te faremo di tutto alle Camere per opporci a questo disastro. Ma non diciamo solo dei no: abbiamo proposto con un disegno di legge depositato dai nostri parlamenta­ri la reintroduz­ione dei voucher, che erano uno strumento fondamenta­le per garantire a chi svolge lavori occasional­i una copertura previdenzi­ale e assicurati­va.

Questo significa difendere chi lavora. Mi auguro, anzi sono certo, che avremo al nostro fianco tutti coloro che sono stati eletti con il comune programma del centrodest­ra, e tutti quelli che condividon­o la nostra cultura liberale dell’impresa e del lavoro.

Noi comunque ci siamo, a fianco delle aziende, dei lavoratori, degli artigiani, dei commercian­ti, dei giovani in cerca di lavoro.

Non ci fermeremo, avete la mia parola.

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LeaderSilv­io Berlusconi, 81 anni, patron di Mediaset e fondatore di Forza Italia. È stato per tre volte presidente del Consiglio

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