Corriere della Sera

JERRY CALÀ E LA LIBIDINE DELLA POLITICA POP

- di Aldo Grasso

Sapete, vero, quella storia che un tempo agli attori, ai giullari, ai cantori era negata la sepoltura in terra consacrata? Disposizio­ne oggi incomprens­ibile, frutto di prevenzion­e e diffidenza. Sarà forse per questo antico retaggio che agli artisti piace caldeggiar­e il potere (od opporvisi, che è la stessa cosa). Un giorno interviene Scamarcio a difendere Salvini, un altro la Mannoia ad attaccarlo sui migranti, un altro ancora la Gerini a sostenere il governo. E poi

Jerry Calà Dal tweet del comico di «Vita Smeralda», ai firmaioli di «Rolling Stone»

c’è Amendola, un po’ sì e un po’ no. E poi ci sono i firmaioli di «Rolling Stone». L’ultimo è Jerry Calà che scende in campo in veste di bancario: «Tutti in tv si chiedono dove troverà questo governo i soldi per mantenere le promesse elettorali. Basterebbe che il precedente governo gentilment­e svelasse dove ha preso tutti quei miliardi per salvare le banche...». Il post è subito ritwittato da Luigi Di Maio con il più celebre tormentone del comico: «Libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi».

È la politica pop, molto più pop di quanto avrebbero potuto immaginare i fratelli Vanzina. Cui va riconosciu­to il merito di aver fatto non film nostalgici sul passato, ma film distopici sul futuro. Nessuno, però, poteva immaginare che saremmo arrivati a «Vita Smeralda» di Jerry Calà, uno dei film più imbarazzan­ti della storia del cinema italiano. La sconsacraz­ione della libidine.

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