I rom, la scoperta dell’«identità» e i vantaggi della assimilazione
Dopo le dichiarazioni del ministro degli Interni sul censimento dei rom in Italia, il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato una mozione che prevede, oltre al censimento, la chiusura dei campi irregolari. Nelle scorse settimane, intanto, il conduttore di una trasmissione della Rai aveva intervistato una intelligente signora rom che parla un ottimo italiano e ha idee chiare sulle condizioni del gruppo di cui fa parte. A una domanda su ciò che le sembrerebbe più utile per i rom della penisola, ha risposto che dovrebbero essere riconosciuti come minoranza nazionale. E a una nuova domanda sui vantaggi che questo riconoscimento presenterebbe per la sua comunità, ha risposto che le permetterebbe di prendere iniziative per meglio tutelare la propria identità.
La risposta non mi ha sorpreso. «Identità» è ormai la parola virtuosa che serve a sostituire parole impronunciabili come razza, stirpe, tribù o persino parole in altri tempi positive come nazionalità e cittadinanza. Esistono identità regionali, religiose, territoriali, politiche, ideologiche, professionali, sportive: tutte con la tendenza a costituire partiti, corporazioni, associazioni e club, ciascuno con il suo presidente e consiglio d’amministrazione. Assistiamo così allo spezzettamento di categorie più vaste (italiano, europeo) e alla nascita di una moltitudine di piccole patrie sociali e culturali. In molti casi il fenomeno è innocuo e rispecchia la grande varietà della società moderna. In altri casi, tuttavia, la parola «identità» sta diventando l’opposto di un’altra parola, assimilazione, che ha avuto per molto tempo una connotazione positiva. Non vi sarebbero gli Stati Uniti, il Brasile, l’argentina e l’australia se questi Paesi non avessero accolto milioni di immigrati, non avessero accettato di lasciarsi «contaminare» dai nuovi arrivati e non avessero creato così una nuova identità nazionale. Non vi sarebbero la Francia, la Gran Bretagna, la Germania e l’italia dei nostri giorni se non avessimo accolto un crescente numero di stranieri sul nostro territorio e non avessimo incoraggiato i nostri giovani a fare nuove esperienze in altri Paesi.
Tutte le identità sono rispettabili, ma il fattore che maggiormente contribuisce al progresso dei popoli è l’assimilazione. Quando Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista, si adoperava per dare agli ebrei una terra, ricordava spesso che la nascita di uno Stato ebraico li avrebbe messi di fronte a una scelta: emigrare verso la patria ritrovata o lasciarsi assimilare nelle società in cui vivevano. Mi rendo conto che i rom possono presentare difficoltà particolari. Di quella identità (che la persona intervistata dalla Rai vorrebbe valorizzare) fa parte anche il nomadismo. Ma a quelli che hanno scelto di venire in Italia abbiamo il diritto e il dovere di applicare almeno una legge che favorisce l’assimilazione: mandare i figli a scuola.
Le piccole patrie Assistiamo alla nascita di una moltitudine di piccole patrie, ma è l’integrazione che contribuisce al progresso