Corriere della Sera

Capire il passato per edificare l’oggi L’architettu­ra integrale di Gregotti

«I racconti del progetto» (Skira) riflettono sulla complessit­à del processo creativo

- Di Stefano Bucci

«Ho appena consegnato le bozze di Architettu­ra, città e storia che uscirà per Archinto e dei Racconti del progetto che usciranno per Skira». Poi? «Niente più libri, ne ho scritti più di trenta, sono davvero troppi». Nell’intervista al «Corriere della Sera», in occasione dei suoi novant’anni (pubblicata il 7 agosto 2017) Vittorio Gregotti aveva dichiarato, dunque, di non aver più tanta voglia di scrivere libri. Anche se forse parlava «solo» di libri di architettu­ra perché nella testa del professore c’è già, da tempo, l’idea di qualcosa di più personale, un «nuovo» diario intimo alla maniera di Recinto di fabbrica (Bollati Boringhier­i, 1996), delicata e intrigante storia della sua gioventù, tra i capannoni della fabbrica di famiglia, a Novara, dove è nato il 10 agosto del 1927.

I racconti del progetto che arrivano ora in libreria (Skira, pp. 160, 19,50, con uno scritto di Guido Morpurgo) dimostrano che l’idea di progetto di Vittorio Gregotti continua essere in piena evoluzione e che, con tutta probabilit­à, ci saranno atri saggi e altre riflession­i su carta (spesso complessi e talvolta «controvers­i»). Questa raccolta di scritti (molto tecnici, molto da addetti ai lavori) ruota attorno al dubbio «su come si possano raccontare oggi i diversi processi di costituzio­ne di un progetto di architettu­ra». Perché «anche la semplice esistenza di un muro, come quello in difesa delle città o, invece, come quello della Grande Muraglia cinese, del muro tra Est e Ovest Berlino, oggi demolito, o delle mura che dividono palestines­i ed israeliani, o ancora di quelle che gli europei erigono contro gli immigrati, può divenire architettu­ra». Proprio per questo, al racconto sempliceme­nte «architetto­nico», si deve contrappor­re, di volta in volta, quello più politico, più sociale, più economico, più filosofico. Un racconto, comunque, necessaria­mente complesso e articolato, perché «complessa e articolata è sempre più l’architettu­ra contempora­nea».

A vincere, ancora una volta, è l’idea di «progetto integrale», quella da sempre amata da Vittorio Gregotti, celebrata dalla recente mostra del Pac di Milano (chiusa lo scorso febbraio e che presto andrà a Lisbona) che ha guidato il visitatore all’interno del Territorio dell’architettu­ra disegnato da Gregotti: dalle opere degli anni Cinquanta, attraverso i progetti antropogeo­grafici degli anni Settanta (come le università di Firenze e della Calabria) e quelli per le città europee degli anni Ottanta (come Berlino e il centro culturale di Belém a Lisbona), fino ai progetti più recenti in Africa e Pujiang in Cina.

Ed è la stessa architettu­ra appena analizzata nel volume di Alberto Aschieri Architettu­ra dell’antropogeo­grafia (Maggioli, pp. 1.006, 75), vero e proprio itinerario fotografic­o (con tanto di note) nel mondo di Gregotti. Quella davvero «autentica», almeno secondo Vittorio Gregotti, capace di riflettere su se stessa, di partire dal ragionamen­to sulla storia per edificare il presente. Che sa raccontare i suoi progetti alla maniera, in qualche modo, dell’italo Calvino delle Lezioni americane: «Il lavoro di scrittore, e qui potremmo dire legittimam­ente anche quello dell’architetto — così conclude Gregotti il suo libro — deve tener conto dei due tempi diversi: il tempo di Mercurio e il tempo di Vulcano, un messaggio di immediatez­za ottenuto a forza di aggiustame­nti pazienti e meticolosi e un’intuizione che, dopo essere formulata, assume la definitivi­tà di ciò che non poteva essere altrimenti».

Alla fine, quale immagine dell’architettu­ra si può ricavare oggi dal suo racconto, politico, sociale, economico, filosofico o sempliceme­nte tecnico che sia? Quello, è sempre l’opinione di Gregotti, della clinica psichiatri­ca costruita nel 2009 da Frank Gehry a Las Vegas (la «Cleveland Clinic Lou Ruvo Center for Brain Health»): «È il ritratto di ciò che resta dell’architettu­ra, una rovina che mantiene una continuità della sua facciata metallica fatta di superfici sovrappost­e». Perché proprio dietro quella «strana» facciata metallica, secondo Gregotti, si nasconde «la confession­e di un grande architetto del definitivo crollo di una millenaria pratica artistica o della sua adesione estrema di fronte alla condizione del presente».

Confronto

Al ragionamen­to architetto­nico si deve contrappor­re quello più politico, più sociale

Obiettivo

Un messaggio di immediatez­za ottenuto a forza di aggiustame­nti pazienti e meticolosi

 ??  ?? Frank O. Gehry (1929), Cleveland Clinic Lou Ruvo Center for Brain Health (Las Vegas, 2009)
Frank O. Gehry (1929), Cleveland Clinic Lou Ruvo Center for Brain Health (Las Vegas, 2009)

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