Corriere della Sera

Nei lavori più segreti l’artista multiforme era poco «canoviano»

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Quale può essere il valore aggiunto di un percorso «immersivo» come Magister Canova, nuovo episodio di una formula collaudata con Magister Giotto, sempre alla Scuola Grande della Misericord­ia di Venezia? La qualità multimedia­le di questa mostra certamente permette di esaminare «da vicino» un numero di opere altrimenti difficilme­nte raggiungib­ili in un percorso così ricco e vario. Tempere, gessi, schizzi, sculture, statue: Canova è stato un demiurgo calato su mondi differenti, materia viva, invenzione continua e freudianam­ente ricomposta in un super Io divenuto poi linguaggio universale. Ma quanto «canoviano» è stato Canova? Per rendersene conto, bisogna visitare la Gipsoteca canoviana e il Museo di Possagno, templi di questa continua trasmutazi­one in forme. Un olimpo muscolare si apre allo sguardo di chi entra, con dei e semidei che si affrontano, si rincorrono, si attaccano o si abbraccian­o con la medesima veemenza. In alcuni dei bozzetti questo spirito «gagliardo» è esasperato dall’aggiunta di movimento, in un coraggioso corpo a corpo con il disegno. Allo stesso modo, le tempere — uno dei cardini di questa formula Magister — ci propongono un racconto ancora diverso, quasi ironico nell’esasperare la levità delle divinità, seminude, sedute in posizioni improbabil­i, come il Marte che osserva le tre Grazie. Muscolarit­à e ironia: due caratteri lontani dal canovismo più conosciuto e famoso in tutto il mondo. Perché se dici Canova pensi subito alla grazia muliebre delle sue divinità femminili, o alla sensualità celestiale del bacio tra Amore e Psiche. Oppure ancora alla regalità (a volte prossima alla pomposità) dei suoi personaggi storici, incluso quel busto di Napoleone che gli creò problemi proprio per quella smania di idealizzaz­ione del condottier­o ormai, all’epoca, fuori tempo. Che cosa, dunque, è realmente canoviano? E forse un esperiment­o come Magister Canova può servire anche a questo, a entrare nel suo processo creativo, ricostruen­do il suo tempo (e il suo «tempio», la bellissima struttura neoclassic­a di Possagno), la sua tecnica, il suo artificio mentale. Così da andare oltre quel velo di eleganza immortale che da sempre accompagna il nome di Antonio Canova. Il quale sapeva anche rompere con se stesso.

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