Corriere della Sera

Ballata con ministri e faccendier­i, sberleffo alla corruzione

- DAL NOSTRO INVIATO Valerio Cappelli

SPOLETO Applausi che non finiscono più. A ladri, spacciator­i, poliziotti, finanzieri corrotti e donnine allegre in scena. Una festa per gli occhi e per le orecchie.

Per un successo così, al Festival di Spoleto, bisogna tornare indietro di molti e molti anni. Merito del regista canadese Robert Carsen, il quale ha portato la sua visione contempora­nea di The Beggar’s Opera, la ballata satirica di dialoghi e musica che fu assai più di una semplice ispirazion­e per Bertolt Brecht e la sua Opera da tre soldi. Un’idea di teatro fatto di niente, la scena riempita di decine di cartoni da imballaggi­o, che colpisce dritto al cuore. Carsen (cominciò la sua carriera 40 anni fa proprio a Spoleto come assistente di Menotti, Giorgio Ferrara gli ha consegnato il premio Carispo) ha attualizza­to il libretto: ed ecco i riferiment­i «ideali» sullo stop alla Brexit, la caduta del governo conservato­re e l’avvento al potere di ladri e prostitute.

Ma anche battute sulle scarpe «orrende di tigre gialla» che sfoggia il primo ministro inglese Theresa May, su cellulari e selfie, sulle serie tv che «fanno montare la testa», sui ministri degli «affari disonesti» e sulla nomina del ministro della Cultura, «che tanto non conta niente». Il tormentone di queste anime perse è: «E io che cosa ci guadagno?».

La filologia per il regista, in questa sarabanda sfrenata che suona come uno sberleffo alla corruzione, è una moneta fuori corso, una parola vuota: «Il criterio dei nuovi dialoghi si rifà al concetto che il testo originale (l’opera andò in scena nel 1728) era tagliato per il pubblico inglese dell’epoca, oggi non li capiremmo. Ne abbiamo rispettato lo spirito. Il bello è questo spettacolo, che ora va in tournée fino al prossimo febbraio, è stato visto a Parigi e ora a Spoleto, ma non ancora in Inghilterr­a».

Qui la tradizione non ha senso, il teatro (almeno questo teatro) deve essere vivo e respira la vita che lo circonda. Ma l’opera, ricorda Carsen (atteso il prossimo anno per la prima volta all’opera di Roma), «esplora l’avidità capitalist­a, il crimine e la diseguagli­anza sociale che non sono cambiati, e imperversa­no in tv e al cinema».

Ecco il celebre complesso Les Arts Florissant­s: fa rivivere il «pasticcio» musicale con citazioni di Purcell e Haendel, e song popolari di provenienz­a barocca. I musicisti, con strumenti originali, li vediamo sul palco con felpe macchiate e jeans sdruciti assieme ai protagonis­ti che, come vuole la scuola anglosasso­ne, sono attori, cantanti, funamboli e ginnasti perfino.

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Un momento di «The Beggar’s Opera» messa in scena dal regista canadese Robert Carsen
In scena Un momento di «The Beggar’s Opera» messa in scena dal regista canadese Robert Carsen

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