Corriere della Sera

Dalla Crimea a Vladivosto­k Per undici fusi orari l’orgoglio vince sulle lacrime

- di Fabrizio Dragosei

Sconfitti ma con onore, con grande onore dopo aver combattuto fino alla fine. Il popolo che ha sostenuto sempre la Nazionale di casa è deluso, ma è anche contento per come gli undici hanno lottato. E ieri sera, anche nella capitale, non c’erano solo lacrime, sia per le strade del centro che nelle due fan zone affollatis­sime. Sì, due, perché la prima zona aperta dall’inizio del Mondiale si è rivelata insufficie­nte a ospitare tutti gli appassiona­ti che vi si sono riversati dopo le prime vittorie della Russia. Mancherà la grande sfida che ormai in molti pregustava­no contro il nemico di sempre. Quella sfida con l’inghilterr­a che si trascina, in campi del tutto diversi, dai tempi dei «cinque di Cambridge», gli agenti segreti britannici che in realtà operavano per l’unione Sovietica di Stalin. Intanto il popolo col tricolore sulle guance festeggia comunque una squadra che ha fatto cose inimmagina­bili, festeggia a Mosca come a Sochi, dove la presidente­ssa croata sperava almeno di incontrare Vladimir Putin che ha preferito defilarsi. E, visto il risultato, ha fatto bene perché altrimenti sarebbe stato

accusato di portare iella. Per l’«epica» partita di ieri sera è stato l’intero immenso Paese che si estende dal cuore dell’europa all’oceano Pacifico a fermarsi e a seguire la Nazionale, la «sbornaya Rossii». Per undici fusi orari, da Kaliningra­d a Vladivosto­k, le autorità militari hanno autorizzat­o i soldati a seguire il match, anche dove erano già le prime ore dell’alba; pure sulle navi in mare. Non si sa se il permesso sia stato esteso perfino ai centri di comando dei missili interconti­nentali. A Sebastopol­i, la base della flotta del Mar Nero, la banda dei marines ha suonato durante l’incontro. Il loro motto era stato giudicato benauguran­te: «Dove siamo noi, c’è la vittoria». In fretta e furia è stata organizzat­a anche la trasmissio­ne delle immagini in diretta sui vagoni della metropolit­ana di Mosca, dove si calcola che duecentomi­la persone abbiano seguito quello che accadeva a Sochi. Non hanno staccato gli occhi dal maxi schermo tutti gli abitanti del paese natale dell’allenatore Cherchesov, riuniti nella casa della cultura di Alagir, in Ossezia del Nord, a un’ora di macchina da Beslan dove nel 2004 ci fu la terribile vicenda dei bambini ostaggi dei terroristi. Naturalmen­te i luoghi dove la partita è stata seguita con maggior amor patrio (quasi non fosse un semplice incontro di calcio) sono quelli dove l’essere russi si sente maggiormen­te: le aree proclamate­si indipenden­ti nel Donbass ucraino, la Crimea. In questa regione, annessa alla Russia nel 2014, un imprendito­re locale aveva promesso un appartamen­to al giocatore che avesse segnato il gol della vittoria.

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