Le regole per scongiurare gli annegamenti dei bambini
Verso un Piano nazionale di prevenzione degli incidenti in acqua
La mappa
Quali sono le Regioni dove si sono verificati gli incidenti? L’istituto Superiore di Sanità ha esaminato i dati ISTAT dal 2003 al 2012. «Risulta che sono morte per annegamento complessivamente 2.530 persone, delle quali 432 in Lombardia, 344 in Veneto, 201 in Emilia Romagna, 196 in Piemonte, 189 in Sicilia, 157 nel Lazio, 145 in Puglia, 141 in Sardegna, 134 in Toscana, 109 in Campania, 94 nelle Marche, 86 in Friulivenezia Giulia, 70 in Trentinoalto Adige, 64 in Calabria, 55 in Abruzzo e in Liguria, 34 in Umbria, 10 in Basilicata, 7 in Molise e in Valle d’aosta». Ma gli specialisti dell’iss sono anche andati a «spulciare» anche le pagine dei giornali: «Nel 2014, gli organi di stampa hanno riportato in totale
278 casi di annegamento»
Bastano due centimetri d’acqua. In una vaschetta, una vasca da bagno, una baby-piscina bastano due minuti perché un neonato possa affogare. Che cosa possono e devono fare i genitori?
«La prima regola, che poi è di buon senso, è la sorveglianza — spiega Riccardo Lubrano presidente della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza Pediatrica (Simeup) —. Mamme e papà non devono distrarsi».
Lo stesso discorso vale per i più grandicelli. In Spagna, una recente indagine dei pediatri ha evidenziato come gli affogamenti dei bambini minori di 5 anni avvengano soprattutto nelle piscine private. «Le piscine dovrebbero essere coperte e recintate in modo da impedire l’accesso ai più piccoli, quando non si usano. Quando invece sono in uso, è imperativa la sorveglianza», aggiunge Lubrano.
Il punto è che i bambini spesso non si rendono conto della pericolosità di una situazione e possono sottrarsi con facilità al controllo dei familiari. «Per questo bisogna che i più piccoli seguano corsi di acquaticità e proseguano poi con i corsi di nuoto veri e propri», dice Lubrano.
Ma anche con i bambini più grandi che sanno nuotare, è sempre necessaria la supervisione di un adulto esperto che non deve perderli di vista. «L’attenzione dovrebbe essere continua, evitando distrazioni come il cellulare».
E gli esperti evidenziano che le lezioni di nuoto non sono sufficienti a rendere i bambini autonomi, senza bisogno del controllo di un adulto. «Stare a galla non significa non aver paura dell’acqua», rimarca Lubrano.
Il problema è molto più ampio: nel mondo, ogni anno 372 mila persone muoiono per annegamento e oltre la metà sono giovani sotto i 25 anni. Gli annegamenti rappresentano una delle prime dieci cause di morte tra 1 e 24 anni d’età. Per questo l’organizzazione Mondiale della Sanità ha chiesto ai Paesi un Wa- ter Safety Plan, con l’obiettivo di dimezzare questa causa di morte. «In Italia tra il 2003 e il 2015 abbiamo registrato circa 5 mila morti per annegamento, 190 delle quali minori di 10 anni — racconta Marco Giustini del Reparto Ambiente e Traumi dell’istituto Superiore di Sanità —. Si tratta in media di 400 morti l’anno,un dato che si mantiene stabile e che fa supporre si sia raggiunto una sorta di “zoccolo duro” difficile da ridurre se non si mettono in atto strategie mirate e efficaci».
Per questo gli esperti dell’iss stanno cercando di costruire un Piano nazionale di prevenzione degli annegamenti basato sulle principali evidenze scientifiche in linea con le raccomandazioni dell’oms e tramite il quale mettere a sistema lo sviluppo e lo scambio di buone prassi e promuovere interventi mirati. «Siamo ancora in una fase preliminare — puntualizza Giustini —. L’idea è di mettere a punto un testo articolato che possa costituire l’ossatura di questa proposta».
Quali sono allora le migliori pratiche per prevenire questi incidenti?
«Bisognerebbe estendere ove possibile la vigilanza da parte dei bagnini di salvataggio, al mare ma anche in altri impianti di balneazione — elenca Giustini —. Poi dotare le aree di balneazione di un’apposita cartellonistica per indicare eventuali pericoli intrinseci del posto (correnti di ritorno, buche, mulinelli) chiare e uniformi a livello nazionale. Sicuramente un’altra soluzione potrebbe essere l’allestimento di posti medici avanzati che permettano una sorta di pronto soccorso sul posto».
E per il futuro, si potrebbe pensare anche all’utilizzo di tecnologie innovative. Un esempio? «Soprattutto all’estero si sta cominciando a diffondere l’utilizzo di droni che permettono il monitoraggio di una superficie molto più ampia di territorio», conclude l’esperto.