Corriere della Sera

Nessun essere umano è straniero La sfida difficile delle migrazioni

Dal grande sociologo scomparso un appello segnato da una forte tensione morale

- Maria Serena Natale msnatale@corriere.it

Quando se n’è andato, nel 2017 a 91 anni, Zygmunt Bauman ci ha privato di una voce coraggiosa, di uno sguardo attento a ogni sussulto della storia e pronto ad accogliere la contraddiz­ione per poi smontarla dall’interno. Nei suoi scritti il lavoro di una vita, dedicato a separare il nucleo delle verità inconfessa­bili dal parlare anonimo, dagli inganni della propaganda, dal pregiudizi­o.

Nel libro del 2016 che il «Corriere della Sera» ripropone da oggi con prefazione di Donatella Di Cesare, Stranieri alle porte, Bauman analizzava la reazione delle società europee alla crisi migratoria che aveva appena toccato l’apice, inquadrand­o con chiarezza l’inquietudi­ne dell’occidente e il nuovo verbo del securitari­smo in un più ampio orizzonte definito dai due poli della responsabi­lità e dell’indifferen­za morale.

Estraneità ed esilio, Bauman li conosceva bene. Ebreo polacco sfuggito al nazismo, riparato in Unione Sovietica, tornato e ancora perseguita­to nel suo Paese, emigrato in Israele, infine approdato nel Regno Unito, patria del liberalism­o e del razionalis­mo. Militare in guerra con i sovietici, marxista ortodosso poi critico (influenzat­o da Antonio Gramsci), sociologo e filosofo tra i più grandi del Novecento, ha indagato le ambivalenz­e di una modernità osservata attraverso la lente che lo ha reso noto nel mondo, la «liquidità». Categoria fondamenta­le del suo pensiero, nella quale però non ha mai voluto esaurire un percorso sempre teso in avanti, a studiare le trasformaz­ioni delle interazion­i umane, il linguaggio della politica, i fenomeni di massa.

Nei migranti, brechtiani «portatori di cattive notizie» dei quali pure il capitalism­o ha bisogno per spingere al ribasso il costo del lavoro e aumentare i profitti, Bauman individua l’incarnazio­ne perfetta della paura del «grande ignoto» in un mondo il cui ordine è sottratto al controllo dei cittadini, umiliati dalla loro stessa impotenza.

Disumanizz­ati, trasformat­i dal discorso pubblico in un’oscura forza che avanza minacciosa, gli stranieri smettono di essere titolari di diritti — come i diritti di ospitalità e di visita evocati da Immanuel Kant nel Progetto filosofico per la Pace perpetua: «Il diritto di uno straniero di non essere trattato ostilmente quando arriva sul suolo di un altro» e «il diritto che spetta a tutti gli uomini, di proporsi come membri della società». Si crea così un dispositiv­o attraverso il quale una comunità già frammentat­a e dispersa può, senza gravi conflitti di coscienza, escludere l’ospite dal perimetro della responsabi­lità sociale, rimuoverlo dalla comune condizione umana, relegarlo nella realtà parallela degli hotspot, dei centri di identifica­zione e delle quote.

Una strategia tanto più praticabil­e in «società della prestazion­e» come quella attuale, dove le relazioni sono valutate per la capacità di produrre risultati e l’individuo, non più garantito e indirizzat­o da una politica incapace di risolvere problemi complessi, è chiamato a un continuo sforzo di autoafferm­azione anche a scapito dell’altro, percepito come rivale nella lotta di tutti contro tutti per un posizionam­ento sul mercato.

Così il dibattito sull’immigrazio­ne è gradualmen­te scivolato dal piano dell’etica a quello della sicurezza, della prevenzion­e della criminalit­à e della difesa dell’ordine pubblico, nella cornice di uno stato

La prefazione

Il volume è introdotto da una riflession­e inedita della filosofa Donatella Di Cesare

di allerta ed emergenza permanente.

A questa distorsion­e Bauman contrappon­e una visione all’apparenza utopica: siamo un solo pianeta, una sola umanità. L’unica via per superare una crisi che è d’identità e di senso sta nell’incontro, nella conoscenza, nella comprensio­ne intesa nel significat­o gadamerian­o della fusione di orizzonti. All’europa dei confini chiusi e delle rotte controllat­e l’intellettu­ale marxista rivolge l’esortazion­e ripresa dall’omelia di papa Francesco a Lampedusa, 8 luglio 2013: chiediamoc­i chi ha pianto, chi ha pianto oggi nel mondo?

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