Corriere della Sera

Il movimento è diventato unico l’africa non vince perché è da noi

- di Mario Sconcerti

Dovessi mettere in fila le quattro squadre rimaste direi Francia, Croazia, Inghilterr­a, Belgio, ma questo vuol dire veramente poco. Non c’è più pronostico possibile, solo impression­i solitarie. Mi sembra però che alcune conclusion­i si possano trarre. La prima è questo dominio delle squadre europee, da dove arriva? Questo sarà il quarto Mondiale consecutiv­o vinto da una squadra europea, non era mai successo. Ormai il movimento è unico, ci sono quattro-cinque grandi campionati nazionali che portano avanti un solo discorso tecnico e funzionano da scuola di tutti. La crisi di Germania e Spagna non è una crisi tecnica, è un esauriment­o generazion­ale, e avviene a vantaggio di altri grandi movimenti come quello inglese e francese, dentro cui convivono e prosperano croati e belgi. Ci sono cicli fra nazioni, ma c’è ormai una strada solida, maestra, nel movimento europeo. La seconda conclusion­e è l’importanza dei giocatori neri. Il cinquanta per cento di Belgio, Francia, Inghilterr­a viene dall’africa, solo la Croazia non ne ha. Cinquant’anni fa, quando questi atleti straordina­ri cominciaro­no a saper gestire un pallone, si pensò che in venti-trent’anni sarebbero arrivati a vincere. Non è mai successo perché l’immigrazio­ne e la storia hanno finito per portarli dovunque. Ora vincono, ma sono francesi, inglesi, belgi. La terza ipotesi di nuova realtà apparsa evidente in Russia è l’aumento medio della qualità muscolare. I calciatori sono ormai tutti estremamen­te fisici, alti, palestrati, sono modelli dello sport, non più ragazzi da oratorio. Questo sta frenando il talento, ma non ancora per molto, si comincia a vedere un’abitudine alla nuova geografia corpo-pallone. Un’ultima notazione di casa nostra: vent’anni di dirette televisive nel calcio delle grandi emittenti hanno ormai creato un nuovo linguaggio sportivo. C’è un lungo elenco di telecronis­ti che ha fatto piccola scuola e cresciuto ottimi allievi. Il divertimen­to, la piacevolez­za che stiamo scoprendo in questi Mondiali senza noi, direi che la dobbiamo anche a questa nuova confidenza con i loro microfoni.

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