Le inchieste di Montanelli e il ruolo dinamico delle élite
Giorni fa, ho visto su Raistoria il reportage televisivo che Indro Montanelli dedicò alla salvaguardia di Venezia (spero che Rai Play lo renda visibile; c’è su Youtube). Quando, nel 1968, decise di raccontare a gamba tesa l’incuria, la caduta e il degrado della città lagunare, scrisse quattro articoli pubblicati sul Corriere della Sera il 22, 23, 24 e 26 novembre 1968. Alle inchieste cartacee affiancò quella televisiva Montanelli – Venezia, trasmessa in Rai il 12 novembre 1969. Cosa ha di straordinario questa inchiesta? Con la sua capacità di sintesi e il coraggio di andare dritto all’obiettivo, Montanelli individuava nell’abnorme espansione del polo industriale di Marghera e nel tumultuoso sviluppo urbano di Mestre le cause dei mali di Venezia. Il documentario si apre con Montanelli, sullo sfondo del Canal Grande, che spiega il perché dell’atto di accusa dopo i tanti servizi dedicati alle bellezze della città. L’autore annuncia il cambio di prospettiva: non vuole parlare delle bellezze ma delle brutture. Facile ora dare ragione a Montanelli, ma il «reperto» ha una sua forza simbolica che va ben oltre il caso specifico.
Ripropongo la domanda: cosa ha di straordinario questa inchiesta? Il carisma di Montanelli si fonda sull’autorevolezza, sulla competenza, sull’esperienza. Ma l’aspetto più interessante — oggi quasi una bestemmia — è che Montanelli parla a nome delle élite. La parola élite evoca l’immagine di un ceto privilegiato, di una classe di eletti chiusa in se stessa, insomma un’immagine che fa a pugni con la democrazia dell’uno vale uno. Non è così. Se si ha un’idea dinamica e non conservatrice del concetto, élite significa semplicemente eccellenza, professionalità, distinzione (anche nei dirigenti Rai di allora). Montanelli è molto duro con il governo, ma è ancora più duro con il carattere degli italiani, incapaci di apprezzare la «bellezza». Ieri come oggi.