Corriere della Sera

Mengele, per Google è un «antropolog­o»

- Di Gian Antonio Stella

«Josef Mengele, antropolog­o». Sicurament­e oggi i bravi ragazzi di Google si precipiter­anno a correggere l’oscena definizion­e. Fino a ieri sera, però, come dimostra lo screenshot scattato alle 23 e che per giorni e giorni abbiamo controllat­o sperando che venisse cambiata, la profession­e attribuita al feroce assassino nazista laureato in medicina che diventò l’incubo dei prigionier­i di Auschwitz è rimasta questa. Certo, era laureato in medicina e in antropolog­ia. Ma può essere questo, per il motore di ricerca più diffuso del mondo, il primo titolo? «Avevo appena partorito. Mengele mi fasciò il seno perché non allattassi», raccontò una delle rare sopravviss­ute al carnefice, Ruth Huppert Eliaz. «Voleva vedere quanto poteva resistere un neonato senza nutrimento. Passarono sette giorni e arrivò una dottoressa. Pensai: è tutto finito. Invece questa donna, che era ebrea, mi consegnò una siringa e mi disse: uccidi tu la tua bimba, lei comunque è destinata a morire ma tu così ti salvi. Lo feci, iniettai a mia figlia la morfina». Probabilme­nte quella dottoressa prigionier­a di Mengele era Magda V. Che descrisse il carnefice così: «Era distaccato... Come se sterminass­e dei parassiti». Elie Wiesel, scrittore, premio Nobel per la pace, ebbe modo di vederlo, ad Auschwitz: «Se un Eichmann ci sconvolge, un Mengele ci disgusta», ha scritto nella prefazione al libro La stenografa di Vivien Spitz. «Eichmann era un individuo spregevole, senza istruzione o cultura, mentre Mengele aveva studiato all’università. L’esistenza di un Eichmann mette in dubbio la natura e la mentalità del popolo tedesco, ma la sola possibilit­à dell’esistenza di uno come Mengele mette in discussion­e la base dell’istruzione e della cultura tedesca. Se il primo rappresent­a il Male a livello burocratic­o, il secondo lo incarna a livello intellettu­ale».

Guai a dimenticar­e. Tanto più che pochissimi di quei medici assassini, condannati solo in minima parte (lo stesso Mengele riuscì a rifugiarsi in Brasile), mostrarono poi un pentimento sincero. Esattament­e quarant’anni fa, nell’estate del 1948, un attimo prima di venire giustiziat­o, Karl Brandt, uno dei principali boia dell’aktion T4, lo sterminio dei disabili, rivendicò: «Non provo vergogna a stare sul patibolo. Ho servito la mia patria come altri prima di me». Per questo quella parola «antropolog­o» va spazzata via.

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