Mengele, per Google è un «antropologo»
«Josef Mengele, antropologo». Sicuramente oggi i bravi ragazzi di Google si precipiteranno a correggere l’oscena definizione. Fino a ieri sera, però, come dimostra lo screenshot scattato alle 23 e che per giorni e giorni abbiamo controllato sperando che venisse cambiata, la professione attribuita al feroce assassino nazista laureato in medicina che diventò l’incubo dei prigionieri di Auschwitz è rimasta questa. Certo, era laureato in medicina e in antropologia. Ma può essere questo, per il motore di ricerca più diffuso del mondo, il primo titolo? «Avevo appena partorito. Mengele mi fasciò il seno perché non allattassi», raccontò una delle rare sopravvissute al carnefice, Ruth Huppert Eliaz. «Voleva vedere quanto poteva resistere un neonato senza nutrimento. Passarono sette giorni e arrivò una dottoressa. Pensai: è tutto finito. Invece questa donna, che era ebrea, mi consegnò una siringa e mi disse: uccidi tu la tua bimba, lei comunque è destinata a morire ma tu così ti salvi. Lo feci, iniettai a mia figlia la morfina». Probabilmente quella dottoressa prigioniera di Mengele era Magda V. Che descrisse il carnefice così: «Era distaccato... Come se sterminasse dei parassiti». Elie Wiesel, scrittore, premio Nobel per la pace, ebbe modo di vederlo, ad Auschwitz: «Se un Eichmann ci sconvolge, un Mengele ci disgusta», ha scritto nella prefazione al libro La stenografa di Vivien Spitz. «Eichmann era un individuo spregevole, senza istruzione o cultura, mentre Mengele aveva studiato all’università. L’esistenza di un Eichmann mette in dubbio la natura e la mentalità del popolo tedesco, ma la sola possibilità dell’esistenza di uno come Mengele mette in discussione la base dell’istruzione e della cultura tedesca. Se il primo rappresenta il Male a livello burocratico, il secondo lo incarna a livello intellettuale».
Guai a dimenticare. Tanto più che pochissimi di quei medici assassini, condannati solo in minima parte (lo stesso Mengele riuscì a rifugiarsi in Brasile), mostrarono poi un pentimento sincero. Esattamente quarant’anni fa, nell’estate del 1948, un attimo prima di venire giustiziato, Karl Brandt, uno dei principali boia dell’aktion T4, lo sterminio dei disabili, rivendicò: «Non provo vergogna a stare sul patibolo. Ho servito la mia patria come altri prima di me». Per questo quella parola «antropologo» va spazzata via.