Corriere della Sera

Le due Afriche che non ti aspetti

Dal Camerun alla Nigeria, i Paesi della sponda Ovest sono sempre più instabili A Est, invece, dove c’era violenza ora regna la calma

- Di Michele Farina

Due donne uccise con i figli in spalla in una radura del Camerun settentrio­nale. Due leader nemici che all’aeroporto di Addis Abeba si stringono la mano dopo decenni di guerra. Immagini che rimbalzano dai fianchi opposti dell’africa. Danno l’idea di un continente a due velocità e di una mappa ribaltata: le buone notizie adesso arrivano dalla costa orientale, dove soltanto pochi mesi fa il puzzle geopolitic­o era composto da conflitti incancreni­ti e nuove fiammate di crisi. Ora invece è dal lato occidental­e che arrivano le cartoline peggiori: i conflitti si acuiscono, lungo un cordone che dal Camerun passa da Nigeria e Niger per arrivare in Libia, seguendo guarda caso la rotta principale dei migranti verso il Mediterran­eo e le piste dei gruppi jihadisti che conquistan­o terreno.

Un’africa double-face, con le facce al contrario: in Etiopia, il secondo Paese più popoloso del continente e baricentro politico dell’area, oggi arriva l’intrattabi­le Isaias Afewerki, presidente-padrone dell’eritrea, che ricambia la storica visita del weekend scorso quando il neo premier etiope Abiy Ahmed veniva ricevuto ad Asmara con sorrisi e abbracci. Un disgelo tra Paesi in guerra da decenni. Gli sviluppi sono ancora incerti, ma i riflessi positivi si irradiano per tutto il Corno D’africa. Ahmed sta cercando di far tornare al tavolo negoziale anche i rivali in lotta nel vicino Sud Sudan, mentre la riconcilia­zione con Addis Abeba dovrebbe togliere al regime eritreo una giustifica­zione per quel servizio di leva permanente che ha indotto alla fuga verso l’europa migliaia di giovani. Il cielo roseo a Est si completa con il Kenya, dove sono rientrati i timori di scontro tra governo e opposizion­e dopo le contestate elezioni presidenzi­ali. E in questa luce anche la crisi in Somalia, pur insanguina­ta da Al Shebab, può uscire ridimensio­nata (se non altro sul fronte dell’oceano dove il pericolo pirati è andato scemando).

Spostando il satellite di qualche meridiano a Ovest, le foto dall’alto descrivono una geografia di conflitti irrisolti. Il gigante dai piedi d’argilla è la Nigeria, il Paese più popoloso (180 milioni di abitanti), la prima economia del continente da cui pure provengono molti dei migranti economici che attraversa­no il deserto. Senza contare chi scappa dalla guerra. Il governo di Abuja ha cantato vittoria nel Nord-est, dove ha dislocato metà della sua fanteria di 70 mila uomini. I governativ­i sono demoralizz­ati (300 morti e 1.500 feriti nel 2017) e male equipaggia­ti, mentre i due tronconi in cui si è diviso Boko Haram sono tornati a riconquist­are villaggi e fiducia. Secondo uno studio dell’accademia di West Point, dal 2011 al 2017 il gruppo ha fatto esplodere 434 kamikaze, più di metà donne, con 135 ragazzi. Le vittime soprattutt­o civili sono state nell’ultimo anno diecimila. Il generale Mark Hicks, comandante delle forze speciali del contingent­e Usa in Africa (seimila uomini in tutto), ha detto all’economist che l’ascesa dei jihadisti locali ricorda quella dei talebani in Afghanista­n nel 1993.

Paragone terrifican­te. Una deriva che può ancora essere contenuta, dice il generale, aumentando la pressione sui terroristi che dopo la caduta del Califfato in Siria si rafforzano nella fascia del Sahel, tra il Sahara e le foreste del Centrafric­a. La minaccia maggiore arriva dal troncone di Boko Haram fedele all’isis che conterebbe 3.500 miliziani nei Paesi intorno al Lago Chad.

Peccato che, almeno per quanto riguarda gli Usa, tiri un vento di disimpegno. Dal Pentagono arrivano indicazion­e per dimezzare nel giro di tre anni i commando Usa impegnati nello scacchiere. I francesi (che hanno 4.500 soldati,

A Occidente

Gli attacchi aumentati del 300%: colpiti anche Paesi refrattari al terrore come il Burkina Faso

A Oriente ln Kenya rientrati i timori di scontro tra governo e opposizion­e. Eritrea e Etiopia si parlano

specie in Mali), britannici e tedeschi dovranno aumentare i contingent­i. Oltre ai fantomatic­i hotspot per i profughi, l’europa dovrebbe mettere altri anfibi sulla sabbia, dal Niger fino in Libia. Ipotesi plausibile? Dopo la morte di quattro soldati americani lo scorso ottobre, il presidente Trump ha ordinato di ridurre le missioni in Niger. La smobilitaz­ione ricorda in modo sinistro quella ordinata da Bill Clinton in Somalia nel 1993, dopo la strage di militari raccontata in Black Hawk Down.

Intanto gli attacchi sono aumentati del 300% dal 2010 al 2017, colpendo anche Paesi refrattari al terrore come il Burkina Faso. Certo dovrebbero essere gli Stati africani a fare il primo lavoro di contrasto. Lo fanno, ma spesso al contrario. Un rapporto del Programma di Sviluppo dell’onu indica che il 71% dei miliziani che si uniscono ai jihadisti lo fa in risposta alla brutalità delle forze di sicurezza. Ecco la prima immagine dell’africa double-face: un video diffuso in Rete che mostra uomini con gli occhiali da sole, la divisa e le armi delle forze speciali camerunens­i che uccidono a sangue freddo due donne e i due bambini che portano sulle spalle, accusandol­i di sostenere Boko Haram. Il governo di Yaounde dice che è un falso. Amnesty Internatio­nal ribatte che ci sono prove (le armi in primis) che inchiodere­bbero i governativ­i. In Camerun si vota a ottobre. Il presidente Paul Biya è al potere da quasi 40 anni. La repression­e anche nei confronti dei separatist­i anglofoni si è inasprita, con testimonia­nze di stragi di civili nelle foreste. Niente di buono sul fronte occidental­e.

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