Migranti, la sfida a Malta
Barcone con 450. Il piano di Salvini: li porteremo lì con una nave militare
Un barcone con 450 migranti in viaggio verso l’italia e nuovo stop del ministro dell’interno. Salvini via Twitter: «Non deve venire da noi». Sfida a Malta e il piano del ministro: «Li porteremo lì con una nave militare».
ROMA Salvini va avanti, sulla linea porti chiusi. Avanti contro l’ultimo barcone in balìa delle onde tra la Libia e l’italia, «con 450 clandestini a bordo». Avanti, a colpi di faccine e strizzatine d’occhio, per sferzare i «buonisti col Rolex». Avanti contro tutti, a dispetto di tutto: «Io tengo duro. Siamo in tanti a pensarla così». E alle nove di sera, con il barcone carico di anime a cinque miglia dall’isola di Linosa, il ministro dell’interno lancia l’ultima sfida. Fa sapere di essere «pronto a tutto per difendere la dignità di questo Paese» e dal Viminale filtra l’idea di rilanciare ancora. Fino a usare una nave militare per caricare gli immigrati e fare rotta verso Malta.
È questa la sfida che Salvini ha confidato ai collaboratori al termine di una lunga, nervosa, giornata che lo ha visto rammaricato, deluso che «il successo italiano» portato a casa da Innsbruck sia stato offuscato dal maremoto politico sulla nave Diciotti. E anche «un filino arrabbiato». I parlamentari a lui più vicini lo raccontano così, dopo l’energico «buffetto» ricevuto dal capo dello Stato. Un leader in cerca di rivincita grazie al sostegno crescente di tanti italiani: #insiemesipuò, è l’hashtag con cui il ministro dell’interno ha scandito le ore a colpi di di tweet, post e dirette radiofoniche: «Come promesso io non mollo, anzi!».
La strategia della fermezza sui migranti ha spiazzato lo storico alleato Silvio Berlusconi e risvegliato dal suo torpore la sinistra, che invoca le dimissioni e raccoglie firme per una (improbabile) sfiducia in Parlamento. Tanto che per la prima volta, dietro i proclami e i titoli a effetto, Salvini sembrava aver accusato il colpo. Al punto, nel timore di restare isolato, di affidare ai suoi il mandato di «ridimensionare» il cortocircuito tra poteri dello Stato.
Il richiamo con il quale Sergio Mattarella giovedì sera aveva imposto l’attracco della nave italiana Diciotti ha inflitto al «Capitano» la prima botta sul piano dell’immagine, registrata come «lo schiaffo del Quirinale». Un ceffone istituzionale, che sembrava averlo convinto ad abbassare i toni e, alla prova dei fatti, evitare futuri contrasti con gli altri corpi dello Stato.
L’entourage del ministro conferma che ieri ci sono stati contatti con il Colle, durante i quali Salvini avrebbe ammesso di dover ancora prendere le misure dei diversi abiti che si ritrova ogni giorno a indossare, vicepremier, leader di partito e responsabile della sicurezza degli italiani. Insomma, d’ora in avanti, questa la promessa, si sforzerà di far prevalere il ruolo istituzionale su quello di «capo» di una forza populista in perenne campagna elettorale: «Non ci sono scontri in atto con il Quirinale, io non litigo con nessuno...». Nonostante l’ultima crisi, i rapporti con Mattarella vengono definiti «buoni, dal punto di vista umano».
E nonostante Salvini abbia subìto la telefonata sulla linea Quirinale—palazzo Chigi come una mossa «un po’ affrettata e non del tutto pesata», il vicepremier assicura che non ci sia nulla da chiarire, nessun contrasto diretto o «interferenza» del presidente: «Non esiste un caso Quirinale». E non c’è alcuna tensione con la magistratura, assicurano nello staff del vicepremier.
Resta, tra i dirigenti leghisti, una scia di irritazione: perché Mattarella ha scelto la linea del non intervento sui 49 milioni di euro di rimborsi che mettono a rischio la sopravvivenza del partito «e poi si è messo a fare la torre di controllo della Diciotti»? Mario Borghezio dai microfoni di Radio Radicale auspica di «non dover assistere ad altri interventi così pesanti della massima carica dello Stato su questioni che attengono alla piena autonomia dell’esecutivo».
Mentre Claudio Borghi ammette: «Siamo un filo arrabbiatini». Lo sono anche i pentastellati, tra i quali cresce la preoccupazione per la tenuta del governo. E per quanto Salvini derubrichi attriti e conflitti di competenze a «sensibilità differenti» e si senta «in asse» con Di Maio, Toninelli, Moavero e Savona, nel governo c’è chi lavora per placare e «normalizzare» il vicepremier leghista.