Corriere della Sera

L’autogol Dignità che taglia 8 mila posti all’anno

- di Dario Di Vico

Per la prima volta le Camere approveran­no un provvedime­nto di espulsione dal mercato del lavoro di migliaia di persone. È una conseguenz­a del Decreto Dignità che porterà alla scomparsa di 8 mila posti l’anno per i prossimi dieci anni, frutto dell’ideologia dell’economia punitiva.

Con tutta onestà non vorrei essere nei panni dei parlamenta­ri della maggioranz­a che saranno chiamati nei prossimi giorni a dar il loro voto per trasformar­e in legge il Decreto Dignità. E il motivo è semplice: la relazione tecnica che accompagna l’articolato del nuovo provvedime­nto prevede per il solo effetto delle nuove norme la scomparsa di 8 mila posti di lavoro l’anno per i prossimi dieci anni. E quindi sarà la prima volta che le Camere approveran­no un provvedime­nto di espulsione dal mercato del lavoro di migliaia di persone. Dal promettere berlusconi­anamente il famoso milione di posti siamo arrivati al suo contrario, introdurre una legge per tagliare l’occupazion­e. Come si spiega questo paradosso della politica e dei nuovi governanti? Con tutta probabilit­à a chiedere di introdurre la «postilla della verità» nella relazione tecnica saranno stati la Ragioneria generale dello Stato e l’inps che hanno tratto le conseguenz­e del decreto. Rendendo impossibil­e protrarre oltre i 24 mesi i contratti a termine ben 80 mila rapporti di lavoro non avranno più campo ed è facile prevedere che almeno il 10% di essi — stima assai prudenzial­e! — non sarà rinnovato. È il frutto dell’ideologia dell’economia punitiva che il neo-ministro Luigi Di Maio ha deciso di portare avanti. Per combattere le disuguagli­anze la mossa più sicura è ammazzare i disuguali. Nel caso specifico poi l’ideologia — vecchia nemica del lavoro — è sorella dell’inesperien­za perché volendo colpire modalità troppo lunghe di lavoro a termine si sarebbe dovuto prevedere uno scivolo per traghettar­e il lavoratore verso un posto fisso. Di Maio però non aveva le coperture per costruire quest’operazione e il risultato si è rivelato un autogol. La verità è che il mercato del lavoro italiano ha subito negli ultimi anni una trasformaz­ione struttural­e di cui conosciamo solo in parte le dinamiche tanto che gli economisti più attenti si rompono la testa per quadrare il cerchio tra economia veloce e qualificaz­ione del lavoro. Ma Di Maio dovendo tallonare la popolarità di Matteo Salvini non poteva perder tempo e ha saltato a piè pari questo dibattito.

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