Russiagate, incriminati 12 agenti di Mosca
La mossa di Mueller prima del vertice tra il leader Usa e Putin. «Hacker in azione contro Hillary nel 2016»
LONDRA Il Super procuratore Robert Mueller accusa formalmente 12 agenti del Gru, il servizio segreto militare russo, di «aver cospirato contro gli Stati Uniti», danneggiando la corsa elettorale di Hillary Clinton nel 2016. La notizia arriva a Londra mentre Donald Trump sta prendendo il tè con la regina Elisabetta. Poche ore prima il presidente americano, nella conferenza stampa congiunta con la premier britannica Theresa May, aveva ancora una volta minimizzato la questione: «Certo che chiederò a Vladimir Putin se ha interferito nelle nostre elezioni. Glielo domanderò con fermezza. Ma non mi aspetto che confessi. Non credo avremo una scena alla Perry Mason». Il protagonista della popolare serie tv è un avvocato che riesce sempre a smascherare il vero colpevole. Una parte che non si accorda con i piani di Trump. Il leader della Casa Bianca ha inseguito per mesi il faccia a faccia con il capo del Cremlino. E ora, a due giorni dal vertice di lunedì 16 luglio a Helsinki, ecco la mossa clamorosa di Mueller, con effetti tutti da verificare.
Particolare interessante: Trump sarebbe stato informato dal vice ministro della Giustizia, Rod Rosenstein, all’inizio della settimana. Ma non risulta che il presidente ne abbia parlato nella cena di mercoledì 11 luglio tra i 29 partner della Nato, a Bruxelles, dedicata proprio alla «minaccia» russa, compresa quella cibernetica. Mosca ha sempre liquidato gli addebiti come «il risultato dello scontro politico interno agli Stati Uniti». La trama del Russiagate, però, diventa sempre più concreta, fattuale. Undici capi di imputazione, con nomi, date, circostanze precise: una risposta da poliziotto all’offensiva permanente, condotta da Trump contro «questa caccia alle streghe». L’atto di incriminazione firmato dal Super procuratore descrive il lavoro minuzioso «dell’unità 26165, con base a Mosca, sotto il comando dell’ufficiale Viktor Borisovich Netyksho».
La squadra del Gru entra in azione nel marzo del 2016, quando le primarie del Supermartedì avevano già delineato lo scenario più probabile: duello finale per la Casa Bianca tra Trump e Clinton. Tra i primi obiettivi dei guastatori ci sono le mail di John Podesta, responsabile della campagna democratica. Nell’aprile 2016 gli hacker fanno breccia nei server del Comitato del Partito democratico e sottraggono almeno 20 mila messaggi privati. Diversi falsi account, tra i quali «Dcleaks» e «Guccifer 2.0», diffondono in rete circa 50 mila documenti riservati. Nel testo di Mueller non ci sono riferimenti precisi ai contenuti rubati. Rosenstein si è limitato a spiegare che l’iniziativa puntava a «esacerbare le differenze interne e cercava di confonderci, di dividerci, di conquistarci». Ma la memoria di quei mesi fa ancora parte dello scontro politico: nelle mail che dovevano rimanere riservate si svelavano, per esempio, le manovre del gruppo dirigente democratico per bloccare la crescita tumultuosa
Il contesto
Accuse concrete: undici capi di imputazione, con nomi, date, circostanze precise
A Helsinki
«Certo che chiederò a Putin se ha interferito nelle elezioni, ma non mi aspetto che confessi»
di Bernie Sanders, il rivale di Hillary. Inoltre si mescolavano sospetti, insinuazioni sul comportamento di Clinton, all’epoca in cui era Segretario di Stato, come la tardiva reazione dopo l’attacco al consolato Usa di Bengasi nel 2012.
Mueller, infine, denuncia anche il furto di dati personali e operazioni di riciclaggio. Nessun cittadino americano è coinvolto. Non sono individuati, almeno per ora, possibili collegamenti tra gli agenti russi e consiglieri di Trump. Solo in un passaggio si nota: «Guccifer 2.0 scrisse a una persona che era in contatto costante con dirigenti del team di Trump: “Grazie per avermi risposto, ha trovato qualcosa di interessante nei documenti che ho postato?”». Non c’è ancora risposta.