Corriere della Sera

Carlo Sama La maxi tangente Enimont, la condanna, la nuova vita «Il suicidio di Raul fu un sacrilegio. Ora coltivo soia in Sudamerica»

- Di Stefano Lorenzetto

L a sua nuova vita è costata a Carlo Sama un occhio della testa. Il destro. «In Paraguay ho avuto il distacco della retina mentre aprivo una strada nella tenuta di famiglia, dentro la più vasta foresta pluviale atlantica del pianeta posseduta da un privato. Sarebbe bastato farmela suturare là con il laser. Invece ho aspettato 20 giorni perché volevo ricoverarm­i in una clinica europea. Risultato: 14 inutili interventi chirurgici fra Londra, Roma e Miami. Ed eccomi qua, orbo veggente come Gabriele D’annunzio».

Il protagonis­ta del processo Enimont, inchiodato dal pm Antonio Di Pietro per aver pagato «la madre di tutte le tangenti» e riabilitat­o di recente dal tribunale di sorveglian­za di Bologna, vive fra Montecarlo e il Sudamerica. «Nel bosco mi sono costruito una casa di legno su un albero, a 20 metri da terra, ma confesso che non ci ho ancora dormito. Ho paura dei giaguari: quelli s’arrampican­o». Eppure nella sua Ravenna lo consideran­o l’amico del giaguaro che tradì il proprio mentore, il cognato Raul Gardini. «Il passato è storia. Fa parte di noi. Pensi al povero Ubaldo Lay: bravo attore, ma alla fine tutti se lo ricordano solo come il tenente Sheridan con l’impermeabi­le».

L’accusa gli pesa, e ancor più adesso, a 25 anni dal colpo di pistola alla testa con cui il 23 luglio 1993 l’arrembante magnate del gruppo Ferruzzi-montedison si uccise nel Palazzo Belgioioso di Milano. «Tra la mia famiglia e Gardini, scelsi la mia famiglia». Cioè la moglie Alessandra Ferruzzi, che, come i fratelli Franca e Arturo, non condividev­a la succession­e decisa da Raul, marito della sorella Idina, la primogenit­a del fondatore Serafino Ferruzzi. Era il 1991. Gardini fu liquidato con 505 miliardi di lire. «Quello che nessuno sa, è che l’anno dopo ritornammo a parlarci».

Chi fece il primo passo?

«Io. Ci vedemmo in Svizzera. Ruppi il ghiaccio con una battuta: Raul, non ci divertiamo più se non stiamo insieme».

Stare insieme per fare che cosa?

«Avevamo il monopolio mondiale del polipropil­ene. Ma bisognava investire centinaia di miliardi in ricerca. La Shell era pronta. Avremmo riportato a casa i pozzi petrolifer­i in Adriatico. E la Edison. L’advisor dell’operazione era Romano Prodi, affiancato da Claudio Costamagna, attuale presidente della Cassa depositi e prestiti. Il principio era banale: rimettere tutto assieme. Dissi a Raul: facciamo un atto di compravend­ita della Ferruzzi per una lira, poi a bocce ferme sarai tu, da padre di famiglia, a valutarne il vero valore».

Come reagì?

«La proposta gli piacque molto. Ma non se ne fece nulla, perché commise un errore: cercò l’avallo di Mediobanca, cioè di Enrico Cuccia».

E che cosa accadde?

«Le azioni furono svalutate da 1.250 a 5 lire. La Ferruzzi fu oggetto di un trapianto d’organo, con le sue quote di mercato immesse in corpi malati. Sa di che parlo? Eravamo primi al mondo anche nelle proteine e nelle lecitine di soia, nelle penicillin­e; primi in Europa nello zucchero, negli amidi e derivati, nei semi oleosi, nei mangimi, negli oli di marca; primi in Italia nel calcestruz­zo e nelle assicurazi­oni danni e secondi nell’elettricit­à».

Che uomo era Raul Gardini?

«Straordina­rio. Aveva una visione così chiara del mercato che si dimenticav­a dei tempi. Voleva che le cose fossero fatte per ieri. Fu il primo a parlare di auto elettrica, biomasse, energie alternativ­e. Il mondo era il nostro giardino di casa. Fosse ancora vivo, oggi costringer­ebbe l’italia a ridiscuter­e Maastricht, le quote, tutto».

Perché a 60 anni si uccise?

«Non certo per disonore: non aveva fatto nulla. Temeva di finire come Gabriele Cagliari, 134 giorni nel canile. Quando il presidente dell’eni si suicidò in cella, Raul mi telefonò: “È morto da eroe”. Pensava solo a quello, all’arresto. Di Pietro lo teneva sulla graticola. Non si lavora una vita per finire in ginocchio da chi ti accusa. Mi hanno raccontato un’orribile storia di guerra sui topi».

Quale storia?

«I soldati catturavan­o una dozzina di topi e li tenevano a digiuno in gabbia. L’unico che sopravvive­va, dopo aver divorato gli altri, veniva liberato perché desse la caccia ai suoi simili nelle trincee».

Gli innocenti non temono il carcere.

«Efrem Campese, capo della sicurezza di Montedison, gli aveva parlato di dieci buste gialle con l’intestazio­ne “F” e di un colonnello della Finanza chiamato da Roma per recapitarl­e. I destinatar­i potevano essere Fiat o Ferruzzi. Si figuri se Raul ebbe dubbi. L’avviso di garanzia equivaleva a una condanna».

Lei ebbe 146 imputazion­i, mi pare.

«Più o meno. Assolto da tutte, a parte il finanziame­nto illecito ai partiti e l’inevitabil­e falso in bilancio».

Fu arrestato il giorno del suicidio.

«Sì. Mi trovavo a Lugano. Telefonai a Palazzo Belgioioso. Rispose Renata Cervotti, la segretaria di Raul. Lo stavano soccorrend­o. Non morì subito».

Aleggiano misteri sulla tragedia?

«No, fu tutto lineare. Il comandante che affonda con la sua nave».

Fu dunque un gesto eroico?

«Rispetto la sua decisione e non esprimo giudizi. Sarebbe fargli torto».

È vero che la vedova ha abbracciat­o la vita religiosa?

«Idina è una donna meraviglio­sa, come lo era il marito. Oggi non sta bene. La storia dei Ferruzzi non la conosce nessuno. Sono l’unico a poter dire d’aver visto la luna e l’altra faccia della luna. Serafino era un genio, ha segnato il secolo scorso. Il giorno in cui arrivò alla Borsa di Chicago, si fermarono per rispetto le contrattaz­ioni: era entrato Mister Soia, il trader che faceva il mercato».

Ma che bisogno aveva Enimont di versare tangenti ai partiti?

«Nessuno. Si pagava perché non rompessero le balle. Non mi pareva un peccato. Magari una scemata. Ma la politica costa tanto, sa? Non trovo anormale aiutarla. del padre di mia moglie. Ogni anno ci versavo la mia gratifica natalizia».

Stefano Bartezzagh­i, figlio del Bartezzagh­i della «Settimana Enigmistic­a», la definì «vantaggios­amente inapparisc­ente» e le imputò la «tendenza a strafare».

(Ride). «Giudichi lei. Ho interesse ad apparire sul Corriere della Sera?».

Di che cosa si occupa adesso?

«Mi sarebbe piaciuto cimentarmi nello sport, come mi aveva consigliat­o Bettino Craxi, magari alla presidenza del Coni. Invece sono rimasto fedele all’antico amore: la terra. Mi occupo di Agropeco, 12.000 ettari fra Paraguay e Brasile, vicino alle cascate dell’iguazú, e di Las Cabezas, 18.000 ettari a Entre Rios, in Argentina. Produco dalla soia all’eucalipto. E allevo 12.000 capi di bestiame razza Hereford. Ho brevettato un mangime contenente il 5 per cento di stevia, un’erba dolcifican­te che funge da antibiotic­o naturale. In campagna rido da solo, come i matti».

Pagavamo i partiti per non avere fastidi. Finanziava­mo tutti, secondo percentual­i. La Ferruzzi fu oggetto di un trapianto d’organo

Investe ancora nel nostro Paese?

«Beh, no, che domande! L’ultimo affare fu la cessione di un’immobile a Roma, diventato il J.K. Place luxury hotel».

Le restano l’es Ram resort e il ristorante Chezz Gerdi, a Formentera. Tra gli ospiti, Veronica Lario con figli e nipoti, Piero Chiambrett­i, Paolo Bonolis, Raoul Bova.

«Chiuso il primo, venduto il secondo. Mai ospitato Bonolis. Però ci venivano Kate Moss e una figlia di Mick Jagger».

Silvio Berlusconi era suo amico.

«Lo è ancora, lo sarà sempre. Fu l’unico a telefonarm­i il giorno dell’arresto. E pensare che avrebbe dovuto odiarmi: con Telemontec­arlo gli fregavo la pubblicità».

Chi altro le è rimasto vicino?

«Luca Cordero di Montezemol­o, Carlo Rossella, Luigi Bisignani. E Sergio Cusani. Il mese scorso si è fatto 400 chilometri, Milano-bossolasco e ritorno, per stare mezz’ora con le stampelle al matrimonio di Francesco, il mio secondogen­ito».

Come vede l’italia a trazione pentastell­ata-leghista?

«Tutto quello che porta al cambiament­o, lo vedo bene. Pensi che Gardini già negli anni Ottanta voleva risolvere il problema degli immigrati. Fece predisporr­e da Marco Fortis, docente della Cattolica provenient­e dalla Nomisma di Prodi, un progetto per rendere coltivabil­e la fascia mediterran­ea del Maghreb. Dall’africa non sarebbe più partito nessuno. Se solo avessimo potuto continuare...». (Si commuove). «Il lavoro era il nostro gioco, la nostra vacanza. È stato commesso un sacrilegio».

Secondo lei i partiti si finanziano ancora in modo illecito?

«Mi pare di sì. Ma non ho i riscontri».

Allora da che cosa lo deduce?

«Dall’odore». ● Oggi Carlo Sama risiede nel Principato di Monaco, dov’è console del Paraguay

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● Carlo Sama è nato il 22 giugno 1948 a Ravenna, dove abita ancora la madre Raffaella, 91...
Nei campi Carlo Sama, 70 anni, produce soia e eucalipto e alleva bestiame tra Paraguay e Argentina. Nella foto sotto è con la moglie, Alessandra Ferruzzi Chi è ● Carlo Sama è nato il 22 giugno 1948 a Ravenna, dove abita ancora la madre Raffaella, 91...
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