«Temevo mi rubassero le valigie piene di scarpe»
René Caovilla Il «calzolaio prodigioso» (una delle sue creazioni è esposta al Moma di New York) compie 80 anni. E parla dei nuovi progetti
Veloce la mano tratteggia su un foglio bianco una sagoma geometrica. Attorno si liberano le linee di un piede. «Un’intuizione geniale, la sua. Guardi, così poteva passeggiare per le calli o salire in gondola con il piede protetto, ma libero». Il disegno di un sandalo. Quello creato da René Caovilla negli anni ‘60 per Peggy Guggenheim, da un’idea e su richiesta dell’eclettica signora dell’arte con gli occhiali a farfalla. Lo rifà senza esitazioni sotto i miei occhi. All’epoca René Fernando, questo il nome completo («Il nome francese? Quello di un attore, mio padre ne era rimasto colpito al cinema»), di anni ne aveva una trentina. Oggi il Cavaliere del lavoro (dal 2002) Caovilla di anni nel giugno scorso ne ha compiuti
80. Ma a vederlo rievocare con aplomb british e una moto ondosa inflessione veneziana quell’incontro, non sembra trascorso nemmeno un batter di ciglia. Alle spalle però sei decenni spesi nel creare calzature femminili sospese su tacchi vertiginosi.
«Oggi però realizziamo anche sandali infradito, sneaker e boot — precisa —. Altrettanto creativi, artigianali e preziosi come il sandalo Snake», il modello creato nel 1975 (il nome dal cinghino a forma di serpente, derivato da un bracciale di epoca romana), esposto al Moma di New York e poi divenuto simbolo della griffe: campeggia sulla terrazza dell’attico del quartier generale di Milano nel Quadrilatero della moda. Poi deciso, Caovilla replica: «Modelli maschili? L’alta moda è donna, se lo ricordi. Non si discute».
Basta vedere il tronchetto con la rete tempestata in cristalli della nuova collezione. Una trina incantata: discende da quello stivale-calza degli anni ‘80 con tacco gioiello così provocante. Non stupisce. Dagli anni ‘70 agli albori del Terzo Millennio, Caovilla ha collaborato con Valentino, Dior nell’era Galliano e Chanel con Legerfeld. «Ero molto amico di Roger Vivier (lavorò per monsieur Dior, suo il sandalo per l’incoronazione di Elisabetta II ndr). Quando si ritirò mi chiese di acquisire il marchio. Ho declinato. Su tutto salvaguardare il Dna di famiglia»: distillato di artigianalità e creatività.
Edoardo, il padre di René, inizia l’attività nel 1923 a Stra, lungo il Brenta, luogo intriso di memorie palladiane, là dove fioriva l’attività dei calègheri, i calzolai al servizio dell’aristocrazia veneziana, quella immortalata dai zuccherosi ritratti di Rosalba Carriera; nucleo, all’inizio del XX secolo, del distretto calzaturiero veneto. Sono gli albori del Festival del Cinema di Venezia e nel 1934 ecco il primo modello by Caovilla: Rita, omaggio di Edoardo alla moglie, una décolleté con lavorazione a merletto in punta. René, entra in azienda negli anni ‘50: classe 1938, si forma prima a Parigi e poi a Londra. Ricorda con entusiasmo i primi viaggi in treno, giovanissimo, per presentare le collezioni in Svizzera e Germania. «Viaggi infiniti. Una notte in attesa di un cambio per la Germania, dormii in sala d’aspetto. Sdraiato sulle lunghe valigie in cui c’era la collezione. Per paura mi venisse rubata nel sonno».
Durante uno di questi viaggi, in Germania durante una fiera di settore, conosce Paola Buratto, anche lei di famiglia calzaturiera. Amore a prima vista: si sposano. Signora eclettica, con la passione per la cucina, l’arte e autrice di libri patinati: l’ultima fatica My Fashionable Venice, ritratto glamour della Laguna.
Presente al suo fianco hanno creato, dice il Cavaliere, «oggetti d’arte chiamati scarpe»: titolo anche di un volume celebrativo dalla copertina rosso passione: lo diverranno negli anni ‘60 anche le suole delle stiletto: oggi sono diventate come un raggio di luna, ottenuto con un velo di polvere di diamanti. Nelle creazioni Caovilla, amate da Nancy Reagan a Lady D, oggi sui
carpet ai piedi Nicole Kidman e Rihanna, Rita Ora a Bella Hadid («La donna che più mi ha colpito? Sharon Stone. Un’apparizione. Un po’ come lo è ora Charlize Theron), è distillata quella magica venezianità di cui «non posso fare a meno», dice il «calzolaio prodigioso», tra i soprannomi che gli sono stati dati.
Oggi la tradizione secolare delle lavorazioni dei merletti di Burano e le trasparenze dei vetri di Murano tradotte in applicazioni preziose sui modelli (realizzate nei laboratori artigianali di Fiesso d’artico dove lavorano circa 300 dipendenti in grado di realizzare circa 250 paia al giorno) si sono conciliate con la tecnologia. «Laser per realizzare i trafori su pelle e tessuto, base per realizzare a mano incrostazioni e ricami». Lo spiega Edoardo Caovilla, stesso nome del nonno, terza generazione, al fianco del padre René dal 2010, da quando, dopo gli studi economici e le esperienze nel mondo della finanza è entrato nell’azienda di famiglia e dal 2012 ne è anche il direttore creativo.
Forte però la sua attenzione alle strategie di mercato («quotazione in Borsa? Non è prioritaria per ora»), espansione e sostenibilità. «Arriveremo a 20 monomarca entro il 2018. Aperture a Los Angeles, Miami, Hong Kong e Singapore. Focus su etica e sostenibilità — dice Edoardo —. In divenire il percorso per la certificazione Bcorp». Cita orgoglioso la recente apertura negli Emirati nel Dubai Mall.
Un trionfo. Perché stupirsi. Là donne dall’incedere sinuoso su tacchi architettonici, avvolte in veli leggeri sono di casa. L’immaginifico immaginario da Mille e una notte. Non a caso proprio a un ideale di femminilità senza tempo René ed Edoardo vogliono dedicare un Museo Caovilla, dove esporre i circa 6000 paia di scarpe dell’archivio storico, parte già esposta in una Wunderkammer al piano nobile del quartier generale di Stra. «Progetto a cui tengo molto — dice il Cavaliere guardando il figlio —. Quando? Vorremmo entro il 2019. La sede? Che domande. Non può che essere Venezia. La mia Venezia».