Siamo uomini o dinosauri?
Evoluzione Passato e futuro a confronto nei libri di Pievani (Meltemi) e di Tuniz e Tiberi Vipraio (Carocci) Per troppa arroganza la nostra specie potrebbe fare la fine dei grandi rettili
Durante gli anni scolastici avrò letto tre o quattro volte I promessi sposi e mai L’origine delle specie di Charles Darwin. Sarebbe troppo lungo e fuori tema interrogarsi sulle ragioni, ma forse la più sbagliata e disastrosa ha che fare con un’idea della scienza come fredda e noiosa. E se la convinzione è erronea riguardo alla scienza in generale, non potrebbe esserlo di più rispetto all’evoluzione: le ricerche, le ipotesi, le scoperte, le smentite somigliano a un romanzo giallo e potrebbero appassionarci almeno quanto una commedia romantica.
Eppure siamo sospettosi. A distanza di molti decenni, facciamo ancora fatica a digerirne le implicazioni e la portata. È seccante rinunciare alla visione dell’evoluzione come «un’ineluttatarci bile ascesa verso la perfezione» e «ammettere che la contingenza gioca un ruolo cruciale nella vita quotidiana come nella storia evolutiva e vedere che la nostra evoluzione rispecchia quella di tutte le altre specie», come scrive Neil Eldridge nella prefazione al libro di Telmo Pievani Homo sapiens e altre catastrofi (Meltemi, pagine 352, 22).
Darwin ci ha definitivamente detronizzati, quando ancora non ci eravamo consolati per la perdita dell’agognato posto al centro dell’universo.
L’evoluzione è una continua frustrazione del nostro narcisismo. Nessuna «storia eroica di conquista», nessun «progresso lineare». Piuttosto una rete complicata di fili e di eventi accidentali, di imperfezioni, di ramificazioni. E una domanda spaventosa, ma inevitabile: «Riuscirà Homo sapiens, figlio fortunato di una stupefacente sequenza di biforcazioni contingenti, a resistere alla tentazione di suicidarsi?».
Erede di una catastrofe planetaria, Homo sapiens potrebbe autodistruggersi. La minaccia non viene solo da un inverno nucleare (e non demografico, casomai il contrario). Le estinzioni di massa hanno tre caratteristiche comuni: un cambiamento climatico repentino e l’alterazione dalla composizione atmosferica, cui si aggiunge uno stress ecologico improvviso. Un disastro per accumulo di circostanze stavolta determinate più o meno direttamente da noi.
Tutto questo dovrebbe spaven- e spingerci a cercare dei rimedi. Eppure la nostra «predatoria idiozia» sembra essere inarrestabile. Ci lamentiamo per i costi di interventi mirati, a esempio, alla protezione di alcune specie. Perché tutti vogliamo salvare i panda, ma ci disinteressiamo delle api e dei pipistrelli.
D’altra parte noi «siamo i figli della fine del mondo degli altri», e la nostra sparizione sarebbe un’occasione di prosperità per altri. In pochi sembrano esserne consapevoli. Pievani suggerisce due ordini di ragioni: politiche e psicologiche. Lo sforzo non può essere locale, ma collettivo e richiede una capacità di lungimiranza che non si adatta ai tempi brevi dei mandati politici o delle campagne elettorali. L’impegno verso le generazioni future necessita di un difficile sforzo immaginativo — e spesso è trascurato nei dibattiti morali(sti), troppo presi a condannare tecnologie innocue o poco dannose, ma indifferenti agli effetti dei nostri comportamenti sul pianeta e sui nostri discendenti. Cambiare questo atteggiamento «potrebbe essere un modo intelligente per differenziarci dai dinosauri».
Siamo gli unici animali consapevoli della loro storia evolutiva, ma dovremmo provare a usare meglio tale conoscenza. Perfino in circostanze meno pressanti del rischio di implodere. Come ci comportiamo da utenti digitali? Piuttosto male. E l’evoluzione può offrirci qualche spiegazione. Per millenni, come ricordano Claudio Tuniz e Patrizia Tiberi Vipraio nel libro La scimmia vestita (Carocci, pagine 271, 21), abbiamo comunicato affidandoci al linguaggio corporeo e alla mimica facciale. In un testo questi «sottotitoli» spariscono e, complici l’anonimato e la distanza fisica, diamo il peggio di noi. Scriviamo insulti che non pronunceremmo mai.
«Riusciremo ancora a mediare i nostri conflitti, prima di saltarci alla gola?» si domandano Tuniz e Tiberi Vipraio. Non è il caso di essere scioccamente ottimisti, e basta fare un giro su Twitter per raccogliere talmente tanti esempi di aggressività gratuita da rimanere sgomenti. Siamo orfani nostalgici della dura vita della savana? Perché questa furia rabbiosa è difficile da spiegare. Un esempio? Anthony Bourdain si uccide e una massa di orrendi trogloditi armati di tastiera si scatena contro Asia Argento.
Forse siamo ancora troppo rozzi evolutivamente per poter usare i social media e dovremmo tornare a scrivere con lo scalpello su una tavoletta di pietra.
Origini
Ci piace molto pensarlo ma non siamo il frutto di un’ineluttabile ascesa verso la perfezione
Equivoci
Ci si allarma per tecniche innocue mentre si fa ben poco per prevenire pericoli di portata globale