La musica senza volto
Da The André che rilegge la trap imitando la voce del cantautore alla nuova Napoli di Liberato
Questione di privacy, strategia di marketing, sfoggio di personalità. Cosa spinge una band o un musicista a nascondere il volto o a non rivelare la propria identità? In tempo di social network, quando tutto viene mostrato su Instagram o Facebook senza distinguere fra pubblico e privato, un artista che rimane nell’ombra fa subito notizia.
È il caso di Liberato, il rapper che canta in napoletano sepolto sotto il suo bomber scuro. Sarà sempre la stessa persona? Un collettivo? Le ipotesi si sprecano da oltre un anno. E che si tratti o meno di una reazione all’esibizionismo generale del web, la mossa è azzeccata: «9 maggio», la prima hit di Liberato, ha oltre 12 milioni di visualizzazioni su Youtube. «Je te voglio bene assaje», più recente, in due mesi ne ha collezionate oltre 5 milioni. Le rare apparizioni live hanno richiamato migliaia di fan e curiosi, mentre su Facebook è partito il corollario di pagine dedicate: dall’ironia di «Aggiornamenti quotidiani sull’identità di Liberato» al gruppo che si è dato appuntamento al suo concerto milanese al grido di «andiamo a togliere il cappuccio a Liberato». Il mistero rimane, il marketing prolifera: il concerto meneghino del 9 giugno era «powered by» Converse, con tanto di merchandising brandizzato e comunicato dell’azienda secondo cui Liberato sarebbe un «“anti-eroe”, simbolo dell’audace gioventù italiana contemporanea».
Da poco è arrivato The André, un ragazzo dall’identità sconosciuta che si è fatto largo su Youtube grazie a una voce quasi identica a quella del cantautore genovese e a un’idea dall’effetto straniante: cantare i tormentoni trap (e poi anche quelli indie, Liberato incluso), con l’intensità e gli arrangiamenti del cantautore, immaginando come (forse) avrebbe potuto interpretarli Faber. Da Liberato, lui, prende le distanze: «Quello è marketing puro. Una parte del valore di Liberato viene dal fatto che il suo mistero è molto calcato», osserva. Per The André, che di Faber è grandissimo fan, restare nell’ombra risponde invece a due esigenze: «Mi piace la mia privacy. La prima reazione quando ho visto che “questa cosa” stava avendo successo è stata tutelare la mia intimità». Ma il motivo principale, sottolinea sotto gli occhiali scuri e il cappuccio, è che «la suggestione che si crea con una voce che ricorda quella di De André deriva del fatto che non si veda la mia faccia». Così, mentre ha un’agenda estiva di concerti in cui tenterà ostinatamente di non farsi riconoscere (questa sera al Flowers Festival di Collegno), lui si sente più affine a Elena Ferrante perché «l’intento della scrittrice nel non svelarsi è di far parlare le sue opere».
Il fenomeno The André richiama gli esordi di Anonimo Italiano, che a metà degli anni ‘90 si esibiva con una maschera d’argento e una voce simile a quella di Baglioni. Di maschere è piena la storia della musica, ben prima dei social, a partire dai Kiss, che con il loro trucco, sulla scia glam degli anni ‘70, si sono costruiti un’identità iconica nella storia del rock, fino ai teschi indossati dai Tre Allegri Ragazzi Morti e diventati parte integrante della loro poetica.
Così dagli artisti notoriamente gelosi della propria privacy, come Lucio Battisti o Mina, ci si sposta ai travestimenti dalla dirompente forza visiva che accompagnano le
Strategie
L’idea degli artisti è quella di far parlare le opere e creare attesa rimanendo nascosti
formazioni rock e metal da decenni, dagli Slipknot con le loro maschere horror ai dissacranti Ghost, fino al truccatissimo Marilyn Manson. Arriverà allo Sponz fest di Calitri organizzato da Vinicio Capossela lo spagnolo Vurro, teschio da mucca per suonare i piatti della batteria e tastiere per un’esibizione sciamanica.
Nell’elettronica, poi, la fantasia balla dietro le console: c’è Alan Walker celato fino agli occhi da una felpa nera, c’è Deadmau5 che si esibisce con enormi orecchie da topo, Claptone che sfoggia una maschera veneziana dorata e Malaa che si nasconde dietro un passamontagna (entrambi a Monza il 28 luglio) o, per tornare in Italia, The Bloody Beetroots con gli occhi in stile Spider Man.
Sarà che tanti hanno seguito le orme dei futuristici Daft Punk, da sempre schivi al clamore mediatico sotto i loro caschi scintillanti. I due francesi l’hanno spiegato più volte: «Non vogliamo essere riconosciuti e far parte dello star system. La musica è la cosa più personale che diamo».