Corriere della Sera

Dopo Federer, Anderson sistema Isner nella battaglia infinita dei grossi calibri

Wimbledon trasformat­o in poligono: 6 ore e 36 minuti di botte di servizio e 102 aces

- DALLA NOSTRA INVIATA Gaia Piccardi

LONDRA Prigionier­i di un sudafrican­o e di uno yankee (e delle regole ottocentes­che di Wimbledon), Rafa Nadal e Nole Djokovic entrano sul centrale con il tetto chiuso all’ora in cui gli inglesi hanno già digerito il roast beef con patate. A noi, invece, resta sullo stomaco il vezzo dell’all England Club di non adottare il tie break nel quinto set, perché esercizi balistici come il grottesco Anderson-isner andato in scena ieri nella semifinale di Wimbledon andrebbero confinati nei poligoni del regno.

Sembra «Il giorno della marmotta». Si ripete uguale a se stesso per sei ore e 36 minuti. Bum, ace. Bum, servizio vincente. È il tennis su erba, baby, esaltato dalla leggenda di Church Road, e tu non ci puoi fare proprio niente. Tra Kevin Anderson e John Isner è la partita dei record realizzati e interrotti (la striscia vincente di servizi tenuti dall’americano si ferma a quota 110 quando il sudafrican­o gli fa il break del 5-3 nel terzo set), gli scambi sono ridotti all’osso, il gioco è risucchiat­o dalla battuta di due dei più alti (Anderson 202 cm, Isner 207) e potenti (picco di velocità di Anderson a 225,3 km/h, Isner a 231,7 km/h) pivot del circuito.

Nadal e Djokovic, protagonis­ti della finale anticipata, possono aspettare. Il centrale è ostaggio dei bombardier­i che lasciano i buchi sul campo. Tie break nel primo set (7-6 Anderson, senza break), tie break nel secondo (7-6 Isner, senza break), Anderson vola 5-3 nel terzo ma è ripreso (7-6 Isner), poi restituisc­e il break al rivale nel quarto (6-4). Due set pari, 6-6, si prosegue a oltranza. Isner c’è già passato: a Wimbledon 2010 il suo primo turno contro il francese Nicolas Mahut durò 11 ore e 5’ (record assoluto) e si concluse dopo tre giorni 7068 per lo yankee (tutto vero). Però anche Anderson ha una certa esperienza di maratone: nei quarti ha eliminato 13-11 al quinto (risalendo da due set a zero e annullando un match point) sua maestà Roger Federer.

Sul centrale il tempo si ferma. 8-8, 10-10. Andersonis­ner diventa la più lunga partita nella storia di Wimbledon conclusasi nello stesso giorno. 11-11, 13-13. Tramonta il sole, dal prato salgono nugoli di moscerini indispetti­ti che a quest’ora, di solito, hanno il giardino tutto per sé. 15-15. Rispetto a quando è cominciato il match, erano le 13, a Pivot

Il dritto Kevin Anderson, 32 anni. Il sudafrican­o è alto 202 centimetri. Il suo avversario di ieri, John Isner, è alto 207 cm (Ap) Isner pare cresciuta la barba. Non si uccidono così anche i cavalli?

16-16. 17-17. L’americano annulla due mortifere palle break e realizza l’ace numero 213 nel torneo, superando il primato detenuto da Goran Ivanisevic (212 nel 2001). 1818. 22-22. Al cambio di campo i due pugili suonati si alimentano con gel e barrette, sono già usciti a fare la pipì, più che una partita pare il film in avanzament­o veloce di due vite parallele. È tennis interruptu­s, mai più articolato di un pugno di scambi, però impreziosi­to da numeri da fuoriclass­e del genere: 49 ace Anderson, addirittur­a 53 Isner, appena 4 doppi falli l’uno e sei l’altro. Scende la sera, e siamo ancora qui. Sul 24-24 John ha i crampi, la lucidità del servizio è offuscata dalla

Seconda finale

Il sudafrican­o conquista la seconda finale Slam dopo quella all’ultimo Us Open

Record battuti

Nel quinto set ci sono voluti la bellezza di 50 game: tanti record ma il tennis è un’altra cosa

stanchezza. Kevin fa un passo avanti nella risposta e azzanna la bestia ferita. Incassa il quarto break del match e alle otto conficca nel prato il colpo che lo proietta nella prima finale di Wimbledon, dopo aver già agguantato (a sorpresa) quella dell’open Usa 2017. Il tennis è un’altra cosa, ma i libri dei record non stanno a sottilizza­re.

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