Corriere della Sera

«Dalla Libia tornano in acqua i barconi»

Sulla sponda Sud si riorganizz­ano i porti di partenza. Ferme le attività a Sabratha Nel caos entrano in gioco nuove milizie e tornano i barconi. Ma il business rallenta

- Di Lorenzo Cremonesi

Nessuno azzarda numeri precisi ma a Tripoli le autorità e i media non hanno dubbi: in poche settimane il numero dei migranti che dalla Libia cerca di attraversa­re il Mediterran­eo si è dimezzato. E i trafficant­i di uomini cambiano strategia: «Gli scafisti stanno rimettendo in mare i barconi di legno».

In poche settimane il numero di migranti che dalla Libia cerca di attraversa­re il Mediterran­eo verso le coste italiane con la speranza di lavorare in Europa si è più che dimezzato. Nessuno azzarda a fornire numeri precisi in Libia. Ma se è vero che ancora a febbraio l’agenzia affiliata all’onu per le migrazioni (Oim, Organizzaz­ione Internazio­nale per le Migrazioni) segnalava la presenza di oltre 704 mila migranti concentrat­i quasi esclusivam­ente in Tripolitan­ia, oggi il numero ufficioso rilanciato tra le autorità e i media libici si aggira sulle 200 mila persone, forse anche meno.

«La cruda verità è che la politica del nuovo governo italiano ha cambiato la situazione sul campo. La quasi sparizione delle navi delle organizzaz­ioni non governativ­e (Ong), oltre alla nuova strategia dei respingime­nti e dei porti chiusi voluta da Roma ha di fatto ridotto i flussi al lumicino», sostengono i giornalist­i libici. Nessuno vuole essere citato direttamen­te. Il tema resta tabù.

«È dai reportage della Cnn nei primi mesi di quest’anno, che segnalava i casi di migranti venduti come schiavi alla periferia della capitale, che l’accesso anche ai centri di detenzione dei migranti è praticamen­te impossibil­e. Noi reporter libici potremmo avere guai con le autorità anche solo se intervisti­amo i migranti per la strada», ci dice uno dei decani della stampa locale.

Pure, il dato della drastica diminuzion­e di chi parte sui battelli dei trafficant­i è confermato anche dai responsabi­li della guardia costiera di Tripoli. «Dai primi mesi del 2018 abbiamo salvato in mare e riportato sulle nostre coste oltre 10 mila persone (secondo l’organizzaz­ione Internazio­nale per le Migrazioni sono quasi 7 mila). Il nuovo governo italiano ha fatto bene a fermare le Ong, che nei fatti erano funzionali alla tratta. Per i trafficant­i e le organizzaz­ioni criminali che prosperano sulla vendita di esseri umani è crisi nera. Una crisi tanto grave che stanno spostando le loro attività in Tunisia e Marocco», sostiene Massud Abdel Samat, che ha il compito di dirigere i guardiacos­te dal comando della capitale con un’attenzione particolar­e per le navi fornite dagli italiani.

Sabratha, una volta il porto a Ovest di Tripoli dove più frequenti erano le partenze e l’ex ministro degli interni Marco Minniti aveva stretto accordi con il clan Dabbashi, è oggi quasi fermo. Gli scafisti ricorrono ai barconi in legno da sostituire ai gommoni in vista di un viaggio più lungo, ma più facilmente individuab­ili dai radar. Particolar­mente attivi sono però ancora i porti di Garabulli e Khoms, a Est della capitale, dove le milizie locali e sembra gli stessi guardiacos­te cooperano ancora con gli scafisti. Si torna a puntare il dito sul caos interno e sulle tensioni locali alimentate dal desiderio di speculare sulla tratta di esseri umani.

A Garabulli fa la parte del leone la milizia legata alla famiglia Kaniat, ex gheddafian­i alleati al potente feudo di Bani Walid in guerra con le milizie di Misurata. Sono loro tra i responsabi­li degli attacchi all’aeroporto della capitale. Anche a Zawyia, a una ventina di chilometri da Tripoli, regna l’anarchia che facilita le partenze dei barconi.

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Viaggio infinito Migranti a Tripoli riportati indietro dalla Guardia costiera libica (Afp)

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