Benedetta Barzini: simpatica a Dalì che trattavo male
L’ex modella: avevo diciassette tate, mamma non c’era mai
«La mamma? Non c’era mai. Avevo diciassette tate». Benedetta Barzini si racconta al Corriere. «Dalì mi prese in simpatia».
di Pier Luigi Vercesi
Benedetta Barzini, nipote del mito del giornalismo Luigi, che oltre cent’anni fa correva in groppa a un ronzino e si arrampicava sui tralicci dell’estremo Oriente per far giungere al «Corriere della Sera» il suo racconto di guerre esotiche. Figlia di un altro Luigi Barzini, junior, giornalista famoso anche negli Usa e della vedova di Carlo Feltrinelli, madre di Giangiacomo, con un patrimonio consistente: infanzia dorata, immaginiamo…
«Sono stata allevata da diciassette signorine senza mai vedere mia madre: un orfanotrofio privato. Cosa vuoi?, sei ricca: solo i bambini poveri assomigliano a Oliver Twist! Mia madre viveva nei suoi appartamenti. La domenica mattina una tata ci portava a “dire bonjour à maman”. A fatica arrivavo al letto sovrastato da un piumino di raso rosa. Si parlava francese, solo le persone di servizio si esprimevano in italiano. I miei genitori erano separati, papà viveva con “un’altra” ed era vietato andare da lui. L’ho visto sette volte in tutto». Con la scuola è cambiato qualcosa?
«Nel ’47 mamma temeva arrivassero i comunisti, quindi organizzò una specie di esilio a Montevideo per le figlie e le governanti. Durante la traversata dell’oceano, per farci divertire, appendevano una mela a una cordicella: vinceva chi riusciva prenderla con un morso. Mamma non partì con noi e, qualche mese dopo, tornammo indietro perché la Dc aveva vinto le elezioni. Nel ’49 mi iscrissero alla scuola francese a Roma. C’era un cancello chiuso oltre al quale aspettavano i genitori. Per me c’era l’autista. Il primo anno ottenni il tableau d’honneur, ma potei dirlo solo all’autista. Di lì a poco partimmo per New York, perché mamma voleva un passaporto canadese. Vivevamo al terzo piano di un albergo, mamma al sedicesimo. New York era tutta Marilyn Monroe, seni