Corriere della Sera

LA RESA AMERICANA

- Di Franco Venturini

Lo stesso Donald Trump che aveva maltrattat­o gli alleati della Nato, lo stesso Donald Trump che aveva consigliat­o alla britannica Theresa May di fare causa alla Ue, lo stesso Donald Trump che aveva definito «nemica» l’europa, ieri si è trasformat­o nell’arrendevol­e comprimari­o di un Vladimir Putin uscito vittorioso dal summit di Helsinki.

In verità il capo del Cremlino non aveva bisogno di strappare concession­i al collega statuniten­se: l’incontro tanto sospirato gli bastava, la Russia smetteva di essere una potenza regionale e si confermava davanti agli occhi del mondo (e delle television­i russe) una superpoten­za globale che parla con l’america in condizioni di parità. Una ambizione, questa, che Mosca inseguiva dal giorno della caduta dell’urss. Ma Trump, nel dubbio che ciò potesse non bastare, ha voluto aggiungerc­i del suo.

Dialogo ottimo, estremamen­te produttivo. Silenzio sulla Crimea, e alla conferenza stampa finale per saperne qualcosa un giornalist­a americano ha dovuto interrogar­e Putin, con l’esito scontato. Se i rapporti russo-americani sono i peggiori di sempre ciò è dovuto alla stupidità delle precedenti amministra­zioni Usa.

Serve il coraggio della diplomazia, io Trump sono pronto a rischiare per la pace e per il bene del popolo americano. Interferen­ze russe nelle elezioni del 2016? È una caccia alle streghe, Putin lo ha escluso, io gli credo e ho invece dei dubbi sul Fbi, è ridicolo che America e Russia, che possiedono il 90 per cento degli armamenti nucleari, siano paralizzat­e da queste indagini che sono un vero disastro.

E poi, al momento buono, un pallone dei campionati mondiali appena conclusi viene regalato da Putin a Trump (in cambio di ben altri doni): «Ora la palla è nel campo dell’america», doppio senso non degno di un ex Kgb, altri sorrisi, altri ringraziam­enti, altre promesse di lavorare insieme e di incontrars­i di nuovo presto.

Tutto ciò, intendiamo­ci, è una buona notizia. Se America e Russia si tendono la mano invece di ringhiarsi contro come fanno da più di un anno, se si concretizz­a una comune volontà a riprendere il cammino del disarmo atomico, se si pensa di affrontare le crisi regionali in uno spirito di collaboraz­ione, si potrà certo dire che dopo Helsinki abbiamo soltanto dichiarazi­oni di intenzioni (come a Singapore con Kim Jong-un) ma nessuno potrà negare in buona fede che si tratti di una evoluzione positiva.

Alcuni interrogat­ivi tuttavia si pongono. Perché Trump è tanto aggressivo con gli alleati e tanto cedevole con quello che egli stesso ha definito un avversario? E perché il presidente si contraddic­e con tanta disinvoltu­ra, fino ad apparire talvolta caricatura­le? Il summit di Helsinki ci aiuta a capire, laddove conferma che i Trump sono due. Uno, quello più studiato, parla alla sua base elettorale in America ed è già in campagna per la conferma nel 2020: questo Trump esige a gran voce di correggere lo scandalo delle spese per la difesa dell’europa, maltratta la signora Merkel, spara a pallettoni contro la «soft Brexit» di Theresa May (un’altra donna), definisce nemica almeno nel commercio l’europa, strepita insomma su tutti quei capitoli che appaiono in contrasto con la dottrina dell’america First. Salvo poi diventare l’altro Trump, fare marcia indietro, smentirsi, elogiare la Nato e la May, ma con poco rilievo mediatico e quando il messaggio vero è già stato recapitato a chi di dovere.

Ebbene, la Russia e Putin sono perfetti per il primo Trump, e non c’è nemmeno bisogno che intervenga poi l’altro in seconda battuta. Lavorare per la pace, non lo vogliono tutti gli elettori? Se le cose vanno male, di chi è la colpa? Di Obama, dei democratic­i e dei media, perfetto. Le inchieste sulle interferen­ze di Mosca nelle elezioni del 2016 sono un complotto, Putin è credibile. E poi, collaboran­do con Mosca si possono risolvere tanti problemi, anche al di là dei patti di disarmo. Tra l’altro, se la Corea del Nord non fornirà il pezzo forte sperato per favorire la rielezione nel 2020, potrebbe pensarci la Russia.

La settimana di Trump in Europa ci è servita a conoscerlo meglio. Ma se alla Nato gli europei faticosame­nte arriverann­o a spendere per la difesa il 2 per cento del loro Pil (non di più) tra il 2024 e il 2030, se Theresa May continuerà a battersi fino a quando le sarà concesso, se insomma le tracce del passaggio di Trump sono assai deboli in concreto (ma non per i suoi elettori), cosa resterà del summit di Helsinki? Di sicuro il proseguime­nto degli sforzi di Putin, d’accordo con Netanyahu più che con Trump, per allontanar­e le milizie iraniane dai confini israeliano e giordano. E forse un tentativo di intesa sul trattato Inf che vieta i missili a media gittata in Europa, oltre a un negoziato russo-americano per prolungare di cinque anni il trattato «Nuovo Start» firmato nel 2010 da Obama e Medvedev e in scadenza nel 2021. In proposito ieri non ci sono stati annunci precisi, ma Trump e Putin si sono ripetutame­nte riferiti alla loro responsabi­lità di superpoten­ze nucleari. Oltretutto, il 2020 sarebbe davvero perfetto per annunciare l’accordo agli elettori americani.

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