Corriere della Sera

Missione in Cina: il piano di Tria per collocare Btp

La ricerca di nuovi finanziato­ri dopo la fine del Qe

- Di Federico Fubini

Collocare ordinatame­nte, a costi accettabil­i per lo Stato, i circa 400 miliardi di euro l’anno in titoli di debito che permettono allo Stato italiano di funzionare, pagare le pensioni e finanziare la scuola o il servizio sanitario. Questo l’obiettivo della missione in Cina del ministro dell’economia Giovanni Tria.

Ha vissuto in Cina, parla la lingua e non ha intenzione di perdere i contatti a Pechino o a Shanghai. Anche perché Giovanni Tria ha capito che tra non molto potrebbero aiutarlo in un compito fondamenta­le che gli spetta da quando è ministro dell’economia: collocare ordinatame­nte, a costi accettabil­i per il contribuen­te, i circa 400 miliardi l’anno in titoli di debito che permettono allo Stato italiano di funzionare, pagare le pensioni e finanziare la sanità o la scuola.

Tria ha intrecciat­o relazioni utili in Cina da quando era un economista universita­rio, e le mantiene. Sembra probabile - non già fissato in agenda, per il momento - che il ministro vada personalme­nte in Estremo Oriente nei prossimi mesi proprio per spiegare agli investitor­i asiatici perché comprare oggi buoni del Tesoro italiani conviene: sulle scadenze lunghe rendono oltre un punto percentual­e all’anno più degli spagnoli, il 13% in più dopo un decennio.

Ma è qui che la finanza internazio­nale si incrocia pericolosa­mente con la politica romana, le due ormai inscindibi­li come poche volte in passato. La prima presenta una contabilit­à brutale. Negli ultimi due anni le banche e le assicurazi­oni italiane hanno ridotto la loro quota di esposizion­e al debito italiano del 3,6% (dal 30,2% al 26,6% di un debito pubblico totale da 2.312 miliardi). I fondi d’investimen­to nazionali hanno invece ridotto del 2,6%. Le famiglie hanno tagliato di un ulteriore 0,8%, dopo aver già dimezzato l’esposizion­e dal 2012; e anche gli investitor­i esteri sono scesi dello 0,4%. Insomma tutti coloro che potevano si sono fatti un po’ più in là. Solo un finanziato­re è salito in cattedra per surrogare alla ritirata di tutti gli altri e rastrellar­e sempre più debito di Roma: la Banca d’italia per conto della Banca centrale europea, la cui quota di esposizion­e infatti è salita del 7,7%. In altri termini l’unico vero compratore netto di titoli italiani è un’autorità europea che l’anno prossimo si ritirerà quasi del tutto. È già deciso. Ha comprato titoli per circa 120 miliardi l’anno scorso; ne comprerà al massimo per venti il prossimo, mentre l’italia deve finanziars­i per venti volte di più. Significa che il governo deve trovare nuovi finanziato­ri netti, e presto.

Nasce qui l’opzione cinese di Tria. Ma è qui, anche, che la politica nazionale e le sorde lotte di corridoio dei palazzi romani incrociano la strada della finanza globale. A vari livelli. Il primo naturalmen­te riguarda la futura Legge di bilancio da scrivere e presentare fra settembre e ottobre, perché se quest’ultima non permettess­e di limare un po’ o di stabilizza­re il deficit né di far scendere davvero il debito, allora per l’italia tutto diventereb­be più difficile. Mancherebb­e la credibilit­à che serve attrarre nuovi investitor­i sul debito. Del resto una volta fatti saltare gli aumenti dell’iva sul 2019, come promesso dal governo, servono misure correttive da 7 o 8 miliardi solo per tenere il deficit più o meno fermo attorno all’1,5% del prodotto lordo (Pil). Su quella base la maggioranz­a chiede poi di aggiungere una (mezza) controrifo­rma delle pensioni, tagli alle tasse sulle partite Iva, in- terventi per i centri per l’impiego. La lista è così lunga che i conti non possono tornare: plausibile che Tria suggerisca a M5S e Lega di rivedere o spalmare negli anni almeno alcune promesse, in nome di una stabilità finanziari­a che resta fragilissi­ma.

C’è poi però un secondo livello, perché i grandi investitor­i nel debito di cui l’italia ha bisogno non chiedono solo rendimenti. Vogliono anche prezzi stabili, senza sorprese che creino continui sbalzi. Senza che il mercato torni in fibrillazi­one perché il ministro agli Affari europei Paolo Savona parla di «piano B» di uscita dall’euro, o perché il vicepremie­r Luigi Di Maio accusa (implicitam­ente) i dirigenti del Tesoro di tramare «come vipere» contro il governo. Invece è successo, e non è sfuggito ai potenziali investitor­i di cui l’italia ha tanto bisogno.

Anziché un rettile però la metafora più praticata riguarda un pennuto: «canarino nella miniera». Sono quelli che, se cadono in volo, rivelano che l’aria è satura di gas tossici. È così che nella Bce a Francofort­e hanno preso a definire Daniele Franco, il ragioniere generale dello Stato. L’uomo ha la credibilit­à e l’autorità legale di vidimare ogni misura di bilancio, dunque anche di impedire scelte troppo audaci e pericolose in Legge di stabilità. Per ora si muove senza troppi problemi. Ma se le spinte politiche lo inducesser­o a lasciare, il messaggio dalla miniera-italia alla Bce e ai mercati sarebbe fin troppo chiaro: rischio esplosione imminente.

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Ministro Giovanni Tria, 69 anni, romano, economista e docente universita­rio, da giugno è ministro dell’economia

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