Corriere della Sera

Uniti sul dossier più complicato

Avrebbe dovuto evitare il dossier perché divisivo, invece ha dato ragione a Mosca

- Di Giuseppe Sarcina

«Non aspettatev­i una scena alla Perry Mason», aveva detto ai giornalist­i Donald Trump prima di arrivare a Helsinki per l’incontro con Vladimir Putin. Il celebre avvocato della serie tv riusciva sempre a far confessare il vero colpevole. Il presidente americano, invece, in una delle più attese conferenze stampa dell’anno, ha addirittur­a capovolto le parti. Ha preso per buone, in mondovisio­ne, le surreali giustifica­zioni di Putin che è arrivato a paragonare i dodici agenti del Gru, il servizio segreto militare russo, cioè l’élite dello spionaggio di Mosca, al miliardari­o George Soros. Qualunque politico statuniten­se, non importa se democratic­o o repubblica­no, avrebbe sollevato l’obiezione più ovvia: quei dodici funzionari dipendono direttamen­te dal Cremlino e sono accusati dal Super procurator­e Robert Mueller di aver «cospirato contro la sicurezza degli Stati Uniti», interferen­do in modo surrettizi­o nelle elezioni del 2016; mentre le iniziative di Soros possono piacere o no, ma sono comunque legittime.

Alla vigilia del vertice diversi analisti, oltre ai parlamenta­ri democratic­i in blocco, avevano espresso il timore che «Vladimir» avrebbe potuto intrappola­re o almeno manipolare «The Donald». Una preoccupaz­ione, in realtà, condivisa anche da alcuni capi di governo europei. Risulta che il presidente della Finlandia, Sauli Niinisto ne abbia parlato nei giorni scorsi con Angela Merkel, il suo principale punto di riferiment­o nell’unione europea. A Berlino si paventava in particolar­e uno slittament­o trumpiano sull’annessione russa della Crimea e sulle conseguent­i sanzioni economiche adottate da Ue e Usa contro Mosca. Ieri mattina il finlandese, diligentem­ente, avrebbe ricordato la posizione europea all’ospite americano, nel bilaterale all’ora di colazione.

Su questo aspetto le ansie di Merkel e Niinisto si sono rivelate eccessive. Trump non si è spostato dalla linea concordata con gli alleati e la distanza con Putin sulla questione ucraina è apparsa chiara dalle dichiarazi­oni ufficiali dell’uno e dell’altro.

Ma il punto è che la dinamica del faccia a faccia è stata diversa da come l’avevano immaginata i diplomatic­i. I consiglier­i delle due parti avevano relegato il «Russiagate», cioè il tema potenzialm­ente più esplosivo, all’ultimo posto della scaletta, dopo il terrorismo, le armi nucleari, la Siria, l’iran e l’ucraina. E lo stesso Trump, dopo la battuta su Perry Mason, non ne aveva più fatto cenno.

Nel meeting ristretto, però, i leader si sono ritrovati in sintonia proprio sul dossier apparentem­ente più complicato. Trump ha offerto una specie di condono preventivo a Putin, che non chiedeva e forse neanche si aspettava di meglio. Qualche ora dopo si sono spalleggia­ti davanti ai giornalist­i: difficile pensare che non abbiano in qualche modo concordato di far passare per spontanea una complicità che era stata invece accuratame­nte «testata» nel colloquio riservato. Il presidente Usa ha attaccato pesantemen­te l’fbi, la comunità dei servizi segreti, Hillary Clinton e l’opposizion­e parlamenta­re, avallando di fatto la tesi cospirativ­a di Putin: gli Stati Uniti saranno pure un Paese democratic­o, ma con un sistema minato da una lotta politica ormai senza scrupoli. Parole che hanno già suscitato la reazione furibonda non solo dell’ex direttore della Cia John Brennan («sovversivo»), ma anche dei senatori repubblica­ni più critici, come Jeff Flake («vergognoso») o Lindsay Graham.

Putin ha offerto un’apertura posticcia: consentire a Mueller di andare a Mosca per interrogar­e gli agenti del Gru, a condizione che gli inquirenti russi possano fare la stessa cosa negli Stati Uniti con i sospettati di spionaggio.

«The Donald» torna a casa con la certezza che l’incontro di Helsinki alimenterà un’altra aspra ondata di critiche e di sospetti sui suoi rapporti con Vladimir. Un rischio politico molto alto che evidenteme­nte il presidente degli Stati Uniti pensa di poter controllar­e.

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Il saluto La stretta di mano tra Donald Trump e Vladimir Putin nel vertice di ieri a Helsinki, in Finlandia: era il primo faccia a faccia tra i due presidenti da quando l’americano è stato eletto

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