Corriere della Sera

Zar addestrato a «carpire» informazio­ni

- Di Fabrizio Dragosei

MOSCA Tanto Putin che Trump erano stati adeguatame­nte preparati dai propri esperti in vista del faccia a faccia di ieri. E la notizia che il presidente americano sembri più disposto a credere al Cremlino che ai suoi servizi segreti ha, naturalmen­te, fatto la gioia di Mosca e gettato nel panico molti, sia a Washington che nei Paesi alleati. Putin ha ricordato ieri: «Io ho lavorato nell’intelligen­ce e so come si organizzan­o queste cose». I suoi gli hanno sicurament­e spiegato quello che poteva dire e ciò che non doveva assolutame­nte lasciarsi sfuggire durante l’incontro ristretto. E anche, quasi certamente, quello che sarebbe stato molto interessan­te sapere dalla contropart­e americana. Ad esempio come i britannici siano arrivati alla certezza che ad avvelenare la ex spia russa Skripal e la figlia siano stati proprio gli agenti di Mosca. O come i servizi americani riescano a sapere tutto sui movimenti degli uomini del Cremlino che agiscono nel Donbass, in Ucraina, al fianco degli indipenden­tisti. A maggio Trump aveva fatto infuriare gli israeliani rivelando al ministro degli Esteri Lavrov un’azione segretissi­ma in Siria degli uomini dello Stato ebraico per sabotare un piano dell’isis volto a sviluppare bombe da inserire nei computer portatili. Azione di cui il Mossad aveva messo a conoscenza la Cia. E questa volta, si chiedono a Langley, che cosa avrà detto il numero uno Usa «in confidenza» all’amico Vladimir?

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