Il sindacato di Viale Mazzini: ecco dove sono i conservatori
ai vertici aziendali: il tetto dei compensi (a 240 mila euro annui) sarebbe un ostacolo per la scelta di alcuni manager indicati come papabili per il ruolo di direttore generale. Le indiscrezioni indicano sempre (ma con, appunto, maggiori riserve) Fabio Vaccarono country manager di Google, oltre a Fabrizio Salini, un passato come direttore di La7, e prima ancora ad di Fox Italia dal 2014 al 2016.
Lega e 5 Stelle, intanto, ragionano anche sugli assetti della tv di Stato. Il Movimento guarda al Tg1, mentre il Carroccio punta a Rai1. Più delicata la partita che riguarda le testate giornalistiche regionali, con la Lega pronta a far sentire la propria voce. Un equilibrio da trovare che si preannuncia complicato. Un’altra partita che corre parallela alla nomine Rai è quella che riguarda i vertici di Cassa depositi e prestiti: in questo caso Lega e M5S sarebbero orientati sul duo composto dal vicepresidente della Bei Dario Scannapieco (come amministratore delegato) e da Fabrizio Palermo (direttore generale). In questo caso, però, i nodi da sciogliere sono con il Tesoro. E la soluzione non appare per nulla scontata. Beatrice Coletti Ad e direttrice di canali tv, 49 anni
Caro direttore, ieri Milena Gabanelli è tornata a parlare della Rai Servizio Pubblico dalle pagine del Corriere della Sera, quotidiano di proprietà — ricordiamolo — dello stesso editore di La7, Urbano Cairo, che nei giorni scorsi ha chiesto per la sua azienda una fetta del canone. Riteniamo doverose alcune precisazioni. L’usigrai chiede da anni una profonda rivoluzione delle news e un serio progetto web. Chi non è in grado di proporli è il vertice della Rai: negli ultimi 3 anni ben 3 progetti sono stati scritti e affossati dagli stessi vertici. Senza mai arrivare al confronto con il sindacato. Quindi i conservatori, quelli che difendono l’esistente, non sono nelle redazioni, ma nel Consiglio di amministrazione della Rai. Gabanelli ne sa qualcosa, visto che lei stessa è stata costretta a lasciare la Rai perché bloccata non certo dalle redazioni, ma dai conservatori del settimo piano di Viale Mazzini. Le inefficienze che Gabanelli denuncia, l’usigrai le denuncia da anni: sono il «costo della politica». Pertanto, chi vuole il bene della Rai Servizio Pubblico deve curare non il sintomo ma la malattia: la vera urgenza è una riforma per liberare la Rai dai governi e dai partiti. Attaccare la Rai e i lavoratori della Rai con dati parziali e fuorvianti fa il gioco di chi vuole privatizzare.
Due dati:
1 – parlando di stipendi, citare il «costo azienda» dà l’idea di un guadagno abnorme: di quei 70 mila euro, ad esempio, il lavoratore percepisce circa 2 mila euro al mese.
2 – tra i principali Servizi Pubblici europei, la Rai ha il canone più basso, il minor numero di dipendenti, ma lo share più alto e la quota di mercato più grande.
Chi ha intenzione di delegittimare la Rai, o addirittura a ridimensionarla, troverà sempre l’opposizione del sindacato.
Chi ha a cuore il rilancio e il futuro della Rai Servizio Pubblico, troverà sempre l’usigrai dalla sua parte, pronta sempre a confrontarsi nel merito. Nell’interesse esclusivo dei cittadini. Non ho scritto che il neoassunto incassa 70.000 l’anno, ma che si tratta del costo azienda, e non ho attaccato i lavoratori della Rai. Al contrario, ho denunciato l’inefficienza mostruosa prodotta dalle scelte politiche nella spartizione delle poltrone. Se nulla cambia forse è anche perché il vostro sindacato non sta facendo grandi battaglie.